Mi ero promessa di scrivere la mia storia non appena sarei stata pronta a farlo… ed eccomi qui a raccontarvi la mia esperienza perché seppure abbiamo vissuto un vero e proprio incubo, abbiamo vissuto quest’esperienza circondati dalle persone giuste, da operatori sanitari umani e laici che ci hanno accompagnati verso il nostro diritto a scegliere per il futuro della nostra bimba e della nostra vita nel silenzio e nel rispetto delle persone che siamo e del dolore che stavamo affrontando.
Non voglio raccontarvi dell’iter che ho seguito prima di arrivare alla diagnosi. Non voglio che chi di voi mi leggerà e sta vivendo la fase della diagnosi prenatale, si riveda nella mia esperienza e pensi che anche loro possano avere un esito infausto. Ho imparato durante questi due mesi che ogni esperienza è a sé e che le uniche risposte certe ve le darà la medicina, la scienza e i pareri raccolti da diversi specialisti. Personalmente, io ho letto di persone a chi andava tutto esattamente come stava succedendo a me, con gli stessi esiti e poi si trattavano di falsi positivi ed ora stringono tra le braccia i loro figli. Queste storie mi rincuoravano ma ad ogni passo effettuato verso la nostra diagnosi era come ricevere un colpo in più e durante questi mesi sono stata massacrata di “colpi”. Alla fine la domanda ricorrente era “Perché alle altre e non a me?” Perché come molte donne che hanno proseguito senza problemi la gravidanza, il tutto inizia nella fase della diagnosi prenatale con i primi sospetti durante un ecografia. Scelsi come molte di andare avanti negli indagini e feci un amniocentesi con un fish test per avere i primi risultati in tempi rapidi e mettere fine in fretta ai dubbi nei quali eravamo piombati.
Il FISH ovviamente ci disse subito che la nostra bimba aveva una Trisomia 21 e questo segnò l’inizio del nostro incubo. Sul fatto del cosa fare, direi che immediatamente abbiamo detto che non potevamo proseguire la gravidanza… frequentiamo numerose famiglie e persone affette da questa sindrome attraverso un associazione e avevamo ben chiaro cosa ci sarebbe successo… a tutti! ma dall’esito del Fish all’esito finale necessario per procedere all’ ITG di tempo ne doveva ancora trascorrere molto e dovevamo “convivere” con la nostra tragedia che non avrebbe avuto fine soltanto una volta effettuato l’ITG.
Le nostre giornate erano diventate secoli, e ci siamo informati su tutto… su tutti i tipi di Trisomia 21 (e sì! perché ci sono varie sfumature della sindrome di down e il FISH non ti dice quale), se si vive diversamente con le varie “tipologie” di SDD e ovviamente su come avveniva l’ITG. Leggevamo di cose disumane di aborti avvenuti in mezzo alle partorienti in ostetricia, iniezioni letali fatte al feto ancora in pancia per fermare il cuore, personale ospedaliere obbiettore che trattano le coppie come noi come monezza. Alla fine di queste giornate, si andava al letto nella speranza di svegliarsi l’indomani e di scoprire di aver sognato tutto o che potevamo tenersi la nostra bambina perché ci potrebbe essere stato un errore di trascrizione del FISH oppure c’era un anomalia cromosomica ma non così grave e consentiva alla nostra bimba di vivere con handicap minori rispetto ai quelli prospettati dalla SDD.
Pronti a tutto! soprattutto al miracolo ma di miracolo non ce n’è stato (o quasi)…
durante tutto questo periodo la nostra ginecologa che aveva appoggiato sin da subito la nostra scelta di procedere all’ITG ci mandò allo sbaraglio degli enti ospedalieri per trovare un posto su dove procedere. Lei era in un centro diagnosi “in” della nostra città, la pagavamo profumatamente ad ogni visita ma non è bastato a metterci al sicuro nel momento del bisogno. Sappiate innanzi tutto che non siete voi a dover procedere ma è lo specialista che vi segue che vi deve “accompagnare” in tutto l’iter. Inutile dirvi che davanti a questa scarsissima coscienza professionale della nostra dottoressa, ci sentimmo ancora di più abbandonati a noi stessi.
E poi arrivò l’aiuto nell’incubo, io lo chiamo la nostra piccola botta di c***: arrivò l’esito finale in ospedale e mi chiamò una dottoressa consulente esterna all’ospedale, che mi fece la prima eco di diagnosi prenatale, per darci tutto il sostegno possibile! si ricordava di noi!!! aveva incontrato nel centro diagnostico la nostra ginecologa e le aveva chiesto nostre notizie! così prese la sbriga di contattarci lei tramite l’ospedale che mi fece l’amniocentesi. La SDD era omogenea, il che significava, che ogni cellula della nostra piccola era colpita e dopo averci prospettato tutto il possibile, ci propose di farci incontrare l’indomani il responsabile della diagnosi prenatale dell’ospedale per procedere.
Arrivammo all’appuntamento distrutti dal nostro dolore e sapendo che la legge ci consentiva soltanto da questo appuntamento in poi di iniziare la procedura legale e che il nostro strazio sarebbe durato ancora una quindicina di giorni prima di avere tutte le autorizzazioni. Non eravamo seguiti da loro e la nostra dottoressa era sparita.
Invece fummo immediatamente presi in carico! capiti, accolti con tutta l’attenzione che meritavamo. Alzò la cornetta e chiese immediatamente le autorizzazioni, ci fece avere subito l’appuntamento dallo psichiatra (perché serve anche quello per legge) e il giorno dopo eravamo in ospedale per il ricovero… in Ostetricia. Paura, delusione di dover finire in quel reparto, ma non potevamo scappare, fermi e decisi di andare avanti.
Invece arrivò una dottoressa che ci accolse dicendo che ci aspettava ma che purtroppo dovevamo aspettare perché la camera singola era occupata e mi dovevano trasferire in ginecologia dove c’era posto per “noi”. Immenso sollievo.
Sono stati due giorni fatti di sorrisi, parole di incoraggiamento da tutto il personale che si è susseguito nei vari turni. I dottori ci hanno risparmiato ogni cosa. Non ci sono state punture letali, il ginecologo mi venne a cercare in sala parto perché non mi voleva fare subire un parto in sala parto in mezzo alle partorienti… (di felicità per noi non ce ne sarebbe stata)… così avvenne il parto abortivo in sala operatoria mentre l’anestesista mi teneva la mano perché ero ovviamente senza la mia dolce metà nel blocco. Mi addormentarono subito dopo per il raschiamento… fu tutto estremamente rapido e mi svegliai poco dopo senza più dolore fisico ma con la consapevolezza che i dolori dell’anima li avevo affrontati grazie all’estrema umanità delle persone che ci hanno seguito.
Non abbiamo voluto vedere la nostra bambina. Non ci avrebbe aiutato a vivere meglio, non ci avrebbe portato nulla.. niente a lei già “andata via” e niente a noi se no l’ennesima ferita ed un ricordo visivo massacrante.
Vivere il post di un ITG alla 19 settimana … è un lutto non lutto. Rimane nel lembo di vita che se ne va senza averla conosciuta dove ogni giorno ci si riscopre, la pancia non c’è più e devi elaborare un legame famigliare mai esistito se no quello del DNA.
Mi sento di dire a chi sta vivendo quest'esperienza di ascoltare il proprio cuore, di essere solidi con il proprio partner perché in quel momento esistite solo soltanto "voi" e nessun altro.
Noi non abbiamo il minimo rimorso per la nostra decisione se domani dovesse ricapitare la nostra decisione sarebbe la stessa. Non ci sentiamo essere spregevoli e/o ingrati verso la vita. Ci sentiamo persone umane e sopratutto informate sulla SDD. Abbiamo i nostri limiti materiali e di longevità (non siamo più cosi giovani) e non avremmo retto il pensiero di vedere una figlia "soffrire" questo mondo e questa vita. Il dolore al cuore sarebbe stato troppo grande rispetto a quello che stavamo vivendo.
Abbraccio tutte voi! ma particolarmente a chi sta vivendo il grande "dolore" dell'ITG... xk di amore in questi momenti ne abbiamo tanto bisogno!
