Da quattro giorni Giorgia e Sofia hanno festeggiato il loro primo, indimenticabile anno di vita, e ieri abbiamo festeggiato l’anniversario del rientro a casa e l’inizio della nostra vita a QUATTRO nella casa nuova… Sono a 38+2, in attesa del piccolo Nicola, e penso sia arrivato il momento di raccontare finalmente quell’indimenticabile 11 giugno 2010 che ha cambiato per sempre le nostre vite…
Dunque, vivevamo in una mansarda sopra casa dei miei in attesa che la casa nuova fosse pronta e pregando perché le bimbe resistessero almeno fino al montaggio delle porte e all’allaccio del gas. Poi tutto sarebbe stato pronto per il trasloco…
Quella mattina (37+4) mi sono alzata come sempre alle 6, non avevo chiuso occhio tutta la notte, avevo passeggiato su e giù col mio panzone gigante e le mie caviglie gonfie come due colonne, dormendo alcuni rari momenti sul water (ebbene si, era tanto e tale lo stimolo e tanto faticoso alzarsi ogni 5 minuti da letto o poltrona, che preferivo restare lì!!!) e mi ricordo che ho detto al mio compagno: “Io sono proprio arrivata! Se non è oggi, al massimo sarà domani”.
Ci alziamo, facciamo colazione, poi lui va alla casa nuova per la tanto attesa installazione delle porte, io scendo da mia madre e inizio a ricontrollare nervosamente la borsa mia, quella delle piccole, poi di nuovo la mia… La mattinata passa così, tra facebook e GOL, e le telefonate al socio:
“Come stanno venendo le porte?”
Lui: “Benissimo! perché non vieni a vederle?”
"No, tesoro… mi spiace… proprio non me la sento!”. Sono solo 200 metri ma io sono così spiaggiata che non riesco a farli, né a piedi, né in macchina…
Alle 10.45 mia madre mi dice che mi ha preparato uno spuntino, uno yogurt e una banana, il mio solito caffè di metà mattina… Fantastico! Ho una fame!!! Vado in bagno come al solito e… zac!!! Dopo le irrisorie briciole dei giorni precedenti, mi ritrovo un gigante strato di muco giallo e gelatinoso sulla carta igienica!
Accccc…. Non ci saremo mica, così, a tradimento???
Corro al PC, lasciando la mia fantastica merenda intoccata sul tavolo, mi collego a GOL e scrivo: “Carissime, credo di aver appena perso il tappo di muco… Quanto tempo pensate che possa passare per l’inizio del travaglio???”. Mi alzo dalla sedia, voglio la mia merenda ma devo di nuovo andare in bagno: mi risiedo sul water e SPLAAAAAAAAASH!!!! Resto attonita da quel rumore tipo cascate del Niagara, e mi guardo alle spalle… Qualcuno ha tirato lo sciacquone a mia insaputa? No! Nessuno? Possibile che sia la rottura delle acque o ho solo sognato questo rumore fragoroso di acqua? Mi alzo dal water, mi tiro su i pantaloni, quasi convincendomi di aver sognato tutto, e RI-SPLASH! Sensazione di calore alle gambe, jeans tutti bagnati, acqua che cola fino alle pantofole, un odore intenso di ammoniaca… Sono loro, le famose e tanto attese “acque rotte”. Sono sostenuta dalla lettura di un milione di manuali sulla gravidanza, quindi vado in bagno mantenendo calma e sangue freddo, controllo il colore: limpido e trasparente. Bene! Ci siamo davvero!
A quel punto la merenda rimarrà in eterno sul tavolo della cucina e io arriverò alle dieci della sera senza più aver ingerito alcunché e con una fame boia… Ma questo, in fondo adesso non conta nulla. Sto per partorire. E’ arrivato il momento che io e il mio compagno abbiamo immaginato mille e una volta negli ultimi mesi, cercando di prevedere e indovinare dove, quando, come sarebbe accaduto e soprattutto quali sarebbero state le nostre reazioni. E io, che ero certa che mi sarei letteralmente fatta sotto dalla paura, sento miracolosamente una calma olimpica pervadere il mio corpo, la serenità massima impadronirsi di me insieme ad una forma di adrenalina che mi porta solo a pensare: Ci siamo, ci siamo, ci siamo, ora si comincia a fare sul serio!
Telefono al societto. Una telefonata che rimarrà storica:
“Amore… Come va?”
Lui, concitato e presissimo dai lavori: “Eh, bene, tutto a posto, stanno montando tutto, bla, bla, bla…”
“Tesoro, senti, non ti agitare, ma credo che mi si siano appena rotte le acque”
Lui, a sua volta olimpico: “Credi, o SEI SICURA??”
“Sono sicura”.
La voce del mio compagno è calma come pure non mi sarei mai aspettata:
“Ok. Come ci organizziamo?”.
Nel giro di dieci minuti lui è a casa. Mia madre e mio padre si sono mobilitati per seguirci con un’altra macchina. L’ospedale è in città, noi viviamo in provincia. E’ quasi mezzogiorno, non dovremmo incontrare traffico. Memore delle mille letture in merito, decido di prendere il tempo per fare una doccia. Arrivo in ospedale più pulita e se la faccio bella calda favorisco anche l’inizio del travaglio. Fino a questo momento, zero contrazioni. Entro nella doccia e sono emozionata come una bimba. Mi scendono sulle guance lacrime miste all’acqua della doccia. Non ho paura, sono solo molto emozionata. Sento in modo fortissimo la solennità del momento. L’ho atteso per nove mesi, mi avevano sempre prospettato il cesareo perché Giorgia era trasversa fino alla fine, poi a venti giorni dal parto: “Signora, sono entrambe cefaliche. Ce la giochiamo questa carta del parto naturale gemellare???”. Col terrore nel cuore mi ero affidata al ginecologo, dicendo subito di sì. In fondo avevo sempre desiderato il parto naturale, l’idea del cesareo non mi aveva mai sorriso. Ora quella ipotesi stava diventando realtà, stavo per abbracciare le mie bimbe, mi preparavo ad andare a soffrire (non sapevo nemmeno quanto e come!!!

Mi sento tremare dall’emozione. Esco dalla doccia, prendo la pinzetta, al volo davanti allo specchio mi spulcio le sopracciglia. Mi fermo un attimo a guardarmi allo specchio e penso: "questo volto da ragazzina lo vedi per l’ultima volta. La prossima volta, sarà il volto di una mamma". Tra queste considerazioni romantiche e commoventi le prime contrazioni iniziano a farsi sentire. Le prime due-tre sono leggerine, poi cominciano ad essere sempre più forti. Sono simili a un dolore mestruale, ma di una intensità non paragonabile, partono dal fondoschiena e dai reni, e si irradiano alla pancia rendendola rigida come un tamburo e dolorante. Frequenza, ogni quindici/venti minuti circa.
Nel frattempo sono pronta, vestita, valige in macchina, si parte. Telefono al ginecologo, che si compiace della situazione e mi dice che è di turno in ospedale e ci vedremo lì. Bene. Meglio di così!!!
Lungo la strada le contrazioni aumentano di intensità e frequenza… Io le sento belle forti ma ho subìto il lavaggio del cervello dai manuali e dalla mia maestra di yoga. So che ogni contrazione, per quanto dolorosa, è un passo delle mie bimbe verso la loro meravigliosa nascita, e quindi comincio a respirare come mi è stato insegnato: espiro profondamente quando la contrazione è in corso, poi inspiro più volte dopo. Così, mi ha detto la mia Antonella allo yoga, la contrazione agisce più profondamente. Il dolore va accolto, non respinto, la contrazione va assecondata e sfruttata al massimo, non le si deve resistere, ma piuttosto abbandonarsi ad essa, rilassare muscoli, utero, vagina, perineo e lasciare che ci attraversi facendoci soffrire fino in fondo… Così faccio. Nella mia testa: ooooooohhhhmmmmmmmmmmmmmm!!!! Tra una contrazione e l’altra mando sms alle amiche più care. Mi arriva quello della mia migliore amica: “Amica, oggi è il Sacro Cuore. Le tue bimbe sono in una botte di ferro”. Questo sms mi da un’ulteriore carica. Andrà tutto bene. Non so come, sono sempre stata una gran fifona, non sopporto il dolore neanche ad un unghia, ma ce la farò. Ne sono certa. Il mio compagno guida concentratissimo, mi chiede in continuazione come sto… Io sto benino, sono solo molto bagnata e concentrata sul dolore delle contrazioni… non pensavo si perdesse così tanto liquido, e non sono bene attrezzata. Nonostante i molti assorbenti ho i pantaloni inzuppati.
Arrivo al PS ostetrico. Parenti fuori, sono ammessa solo io. Mi viene un po’ di panico… questa non me l’aspettavo! Mi fanno sdraiare su un lettino mentre mi contorco dai dolori. E’ l’una circa e le contrazioni sono sempre più forti e frequenti. Mi sembra un incubo dover stare ferma sdraiata quei pochi minuti. Mi visita una dottoressa che conosco vagamente: “Bene signora… sento già la testina della prima bimba e ha due centimetri di dilatazione. Entro stasera sicuramente avrà partorito!!!”
“Cheeeeeeeeeeeeeeeeeeeee???? Staseraaaaaa? E come ci arrivo io a stasera????????”. Le do sempre contorcendomi tutte le generalità e i dettagli della gravidanza, lei del tutto indifferente alla mia sofferenza atroce mi da un pannolino (continuo a perdere acque) e mi dice di mettermelo in bagno. “Da solaaaaaaaa? Non mi aiuta nessunooooooo? Non posso farcela!!!”. Invece, potenza della disperazione, tenendomi alle pareti del bagno tra una contrazione e l’altra riesco a togliere i pantaloni, mettere il tutto, rivestirmi. Nel frattempo le contrazioni sono dolorosissime. Mi fanno accomodare per il tracciato, che per la gemellare prevede il doppio dei fili e delle ventose… sono praticamente imbalsamata come un falso magro, e mi dicono di stare sdraiata e ferma. Ma io ad ogni contrazione ho bisogno di piegarmi, di piegare le gambe, vorrei stare in piedi o su un fianco. “No, mi spiace, cara. Deve stare sdraiata”. E l’infermiera se ne va, lasciandomi sola in quella valle di dolori… Lì mi scende qualche lacrima. Sono sola, su un lettino del PS, piena di fili e ventose, devo stare sdraiata ma ho dolori lancinanti e vorrei tanto il mio compagno. Passa almeno una buona mezzora e le contrazioni continuano, regolari ogni 10 minuti circa e sempre più forti. Io sempre sola. Nel frattempo il mio ginecologo finisce il suo turno e bel bello passa a salutarmi. Vorrei attaccarmi ai suoi piedi, implorarlo di restare ma lui mi sorride, mi fa un segno col pollice alzato e mi dice: “Stia tranquilla, sta andando tutto benissimo! Mi telefoni verso le 17.30”.
Sbammmm! Chiude la porta. Di sicuro va al mare. Impreco contro di lui e tutto il reparto che mi ha abbandonata là da sola a soffrire. Ogni tanto un infermiere viene, guarda tutta quella carta per me incomprensibile, io lì faccio la fi*a, non chiedo, non imploro, e lui se ne va di nuovo… Sono stati questi i momenti peggiori. Per fortuna a un certo punto mi dicono che posso scendere dal lettino, che è tutto ok e mi fanno la fatidica domanda: “Chi vuole con lei in sala travaglio? Sua madre? Il suo compagno?”. “Il mio compagno”, dico… e ho un pensiero per la mia mamma che a quest’ora è in preda all’angoscia al pensiero della sua figlia ansiosa e paurosa che affronta un parto gemellare. Invece io mi sento tranquilla e fiduciosa. Stiamo andando in sala travaglio, si procede!
Arrivo in questa saletta, la sala 2. E’ molto confortevole. Luminosa, pulita, colorata, con tanti punti d’appoggio, una corda di stoffa etnica che scende dal tetto a cui mi dicono che posso aggrapparmi tipo liana se necessario… una pertica… sembra una palestra… Una ostetrica gentilissima mi mette a mio agio, dicendomi di cambiarmi, indossare finalmente la camicia da notte e poi assumere tutte le posizioni che voglio per stare meglio. C’è un bagnetto accanto. Mi accovaccio sul water e lì sto benissimo, specie ad ogni contrazione… mi raggiunge il socio, che mi fa una tenerezza incredibile… gli hanno messo il camice verde di carta da ospedale, trattengo a stento le lacrime quando lo vedo, e mi sento che ora davvero posso affrontare tutto… Sono le 15.30. Il travaglio continua con contrazioni sempre più forti… io me le becco in pieno respirando profondamente e penso che, cavolo, immaginavo facessero male ma non così male… Mi ritrovo a dire frasi sentite sempre nei film: “Eccone un’altra… Sta arrivando la prossima!!!” e ogni volta che questo succede il mio compagno mi abbraccia da dietro e mi massaggia la schiena, e io cerco di farmela scendere lungo tutto il corpo senza resistere, di pensare che per fortuna, inizia e poi finisce, e arrivano un minuto o due di riposo… tra una contrazione e l’altra realizzo che ho una fame boia… dalle 6 di mattina non mangio nulla… ho pure il coraggio di chiedere al socio di dire alla cognata di farmi pervenire un panino e dell’acqua. Il panino sopraggiunge ma la situazione precipita e il panino arriverà nel mio stomaco solo a tarda sera… Le ostetriche vanno e vengono, ci lasciano spesso soli per occuparsi di una ragazza di 17 anni che sta partorendo con grande fatica e urla disumane il suo vitellino di 4 kg nella stanza accanto… sentiamo tutto, le sue urla, lei che implora la sua mamma che la assiste di aiutarla, le ostetriche che la ca****ano duramente dicendole che deve essere matura e responsabile, che ora la mamma è lei, e la nonna non può partorire il nipotino al posto suo… io soffro per me e per quella povera ragazza, guardo l’orologio, sono le 16.30… e la dottoressa ha parlato di “entro stasera”. Ma come ci arrivo, io, alla sera, se sono già al limite di ogni umana sopportazione del dolore???
Entra l’ostetrica teutonica, la più spartana delle due di turno. Le dico con un fil di voce e un tono piagnucoloso e dolorante, che forse è meglio fare un cesareo, che io non credo di farcela (il mio compagno mi prenderà a vita in giro per questo momento di scoraggiamento cosmico!). La risposta dell’ostetrica mi lascia al tempo stesso disperata e incoraggiata: “Ce ne fosse una che mi dice che ce la fa… E poi invece, ce la fate tutte!!!”.
A un tratto arriva la dottoressa di turno: “Facciamo un tracciato alla gemellare!” Nooooooo! Il tracciato noooooooooooooooo!!! Non rilegatemi sul lettino come un salame, vi prego!! Nessuna pietà. Mi ritrovo insalamata sul lettino, e le contrazioni sono intense e frequentissime, ogni minuto. La dottoressa mi visita, e a un tratto parte il suo urlo disumano: “MA LA GEMELLARE E’ COMPLETAAAAAAAAAAAAAAA!!!!!”
Io, presa dalle bombe: “Che significa, completa?????”
L’ostetrica, in siciliano: “Signura, ca sta patturennu!!!” [Signora, che sta per partorire!]
Io: “E allora dove andiamo???” (pensavo che la sala parto fosse altrove!!!)
Lei: “Ggggioia, unni voli iri??? A nudda banna” [Gioia, dove vuole andare? Da nessuna parte]
In perfetto stile navicella spaziale davanti al lettino viene alzata una sbarra e mi dicono di mettere i piedi lì sopra con le gambe piegate (ho le ginocchia all’altezza della mia faccia), lateralmente compaiono due maniglioni a cui afferrarmi tipo sterzo della navicella… penso nella mia testa che questa cosa è fighissima e sento l’ostetrica dirmi, ora sentirà l’impulso di andare di corpo e spingere, ad ogni contrazione spinga forte quando glielo dico io…
Penso che non è possibile… E’ presto, sono solo le 17, pensavo di dover soffrire ancora tante ore e invece sono lì, nel cuore di ogni parto, le famose, famosissime spinte… Sento J., la ragazza diciassettenne, urlare nella stanza accanto… urlo anch’io… una spinta, una seconda ancora più forte… “Forza, signora, ecco la testina!” e al mio compagno: “Venga qua, ecco i capelli, li vuole toccare???”. Lui va a guardare, è commosso come una fontana… mi dice, “Forza Ale, che la testina è fuori, l’ultima spinta e ci siamo”… al che raccolgo tutte le forze che ho, non mi sono mica resa conto (e per fortuna!!!) che loro hanno preso le forbici chirurgiche e sono pronte, ostetriche e dottoressa, all’episiotomia, so solo che se spingo forte la mia piccola Giorgetta sarà fuori e starà bene. Chiudo gli occhi, mi esce un urlo spaventoso, sento un bruciore disumano e il corpicino della mia piccola prima stellina che sguscia fuori!!! E’ nata! Non ci posso credere! E’ arrivata Giorgia Elisa! La prima domanda è se sta bene, mi preme sapere solo questo… Il socio mi sorride e mi dice: “Sta benissimo, è bellissima!”… “17.15” segna il neonatologo… Non ho il tempo di scambiare un bacio col papà e buttare giù le prime lacrime che… si ricomincia! L’assurdo è che fosse stato per me, io avevo proprio finito, stavo così bene che mi sarei alzata e me ne sarei andata da lì, aspettando che Sofietta decidesse che fosse il suo momento… e invece no! Sofia ormai deve nascere al più presto: mi attaccano l’ossitocina per riattivare le contrazioni, mi rompono artificialmente la seconda sacca, l’ostetrica fa una manovra sulla mia pancia… Non più di due spinte ed esce anche Sofia, a spruzzo come la sorellina… “sofia Esterina. 17.22” sento registrare. Sofietta non la sento piangere, chiedo perché e sento qualcuno rispondere: “Ora signora la facciamo piangere!”. Sculaccio, pianto, lacrime a fiumi di mamma e papà…
Possibile???? Solo 7 minuti????
A me però non le danno subito… Il socio fa la spola tra me e loro, sempre con gli occhi rossi … Mi fa la telecronaca di tutto ciò che accade: ora le stanno lavando, ora le stanno vestendo, ora le portano a fare il prelievo (non avevo purtroppo fatto in tempo ad avere i risultati dei tamponi…).
Nel frattempo sono carezze, lacrime, sguardi innamorati di noi genitori verso quelle due piccolette che per tutti quei mesi avevamo imparato a conoscere già dalla pancia: Giorgetta, movimentata, agitata, dispettosa con l’ecografista, che prendeva a calci la sorellina… E’ stata lei a rompere per prima le membrane, lei a voler venire a vedere di persona com’era il mondo, lei ad aprire la strada per Sofia. Sofia, invece, sempre paciocca, tranquilla, patatona, è stata stanata dalla sua sacca, ma sarebbe rimasta volentieri lì a dormire ancora un po’…
Il resto ve lo risparmio: è secondamento, cucitura, tutte quelle odiose torture che dopo un doppio parto proprio non vorresti subire quando pensi di aver finito, ma che al tempo stesso quasi non senti nemmeno tanta è la felicità. La felicità di sapere che le tue stelline tanto attese sono venute al mondo, e stanno bene, che voi quattro siete una famiglia, e che tu sei mamma, e lui è papà di questi due tesori meravigliosi che sono arrivati così, veloci e sagge, e così hanno vissuto il loro primo anno di vita, regalandoci ogni giorno una gioia immensa come quella del primo giorno. E ora, aspettiamo da un momento all’altro il primo giorno del piccolo Nicola, il nostro primo giorno in cinque
