Luca, portato dal vento
Inviato: 5 set 2011, 12:02
Luca è il fratellino di Matilde, nata poco meno di 3 anni fa con taglio cesareo perché rimasta podalica. Un cesareo sofferto, sia psicologicamente che fisicamente.
Matilde era rimasta podalica perché io ho un utero bicorne, accertato definitivamente solo in sede di TC, e perciò, arrivato il momento di girarsi non aveva più avuto lo spazio necessario per farlo ed era rimasta dritta dritta seduta fiera dentro la mia pancia asimmetrica.
Con questa gravidanza ho sperato da subito di non dover ripetere l’esperienza e il fratellino infatti, buono buono, si posiziona a testa in giù fin dai primi mesi e dalla morfologica in poi non lo vediamo più cambiare posizione. Trascorre tutte le settimane di gravidanza sottosopra.
I medici mi propongono un VBAC che io ovviamente accetto, contentissima di mettermi alla prova con un travaglio, sperando di arrivare a partorire Luca naturalmente.
Trascorrono i le settimane, i mesi e si arriva alla metà di agosto; la data presunta (30 agosto) si avvicina sempre più e io sono davvero calma e serena. Al contrario di molte mie compagne di pancia agostine, non sono ansiosa né di anticipare il suo arrivo, né all’idea di dover partorire. Solo il caldo soffocante che ci sorprende in questa fine estate mi dà noia e, per la prima volta in vita mia, sono sempre a studiare le previsioni del tempo sperando in qualche perturbazione.
La mattina del 27 agosto, sento che si è alzato il vento. Bene, mi piace tantissimo il vento, lo adoro.
Sono ancora a letto, quando sento una strana sensazione. Mi alzo e corro in bagno. Giusto il tempo di raggiungerlo e PLOFF!! Mi si sono rotte le acque. Sono le 6e30 del mattino.
Il primo pensiero è “##@@§§!”, ma non per la paura di ciò che mi aspetta, ma perché sono proprio nella condizione più sfavorevole per la buona riuscita di un VBAC. Ho il tampone positivo, devo andare in fretta all’ospedale per la profilassi antibiotica e so che il parto deve avvenire entro un tot di ore, altrimenti si procede con TC per non rischiare l’infezione al bambino.
In una non precesarizzata la procedura è quella di indurre il travaglio, ma è una cosa che non possono fare con me, le contrazioni sarebbero da subito troppo violente per la mia vecchia cicatrice. Devo sperare che il mio travaglio inizi in fretta in modo spontaneo, ma, ahimè, io sono ancora chiusa, sigillata, tappata e senza alcun segno di travaglio imminente.
Arrivati in ospedale, mi fanno il primo monitoraggio e la visita, che conferma ciò che già sapevo. Contrazioni deboli e sporadiche, collo posteriore conservato chiuso. Sono le 9e30.
Data la rottura del sacco mi ricoverano, mi accomodo nella mia stanza e inizio a sperare nel mal di pancia…
Mio marito mi suggerisce di sdraiarmi e riposare, che la giornata sarà lunga, ma io non voglio proprio. Anzi, cammino cammino e sto sempre in piedi sperando che qualcosa si avvii. Ad un certo punto ecco i primi doloretti simil mestruali. Mi si stampa un sorriso sulla faccia!
Verso le 12 le contrazioni iniziano a farsi sentire maggiormente e diventano più regolari, distanziate di 3-4 minuti. Continuo a camminare su e giù per la stanza: voglio che salgano, che prendano bene.
Nel frattempo leggo il giornale e chiacchiero con la mia compagna di stanza. Tornano per una nuova visita e io risulto dilatata di 2cm anche se il collo dell’utero non è ancora completamente appianato. Decidono perciò di non farmi pranzare e io avevo, prudentemente, evitato anche di fare colazione, ben cosciente del fatto che il rischio di finire in sala operatoria è alto. Ma non ho fame, il mio corpo, come se sapesse, mi aveva inspiegabilmente resa vorace nei giorni precedenti, facendomi incamerare le calorie che mi sarebbero servite oggi.
Dopo la visita si decidono a mettermi la flebo di antibiotico e mi attaccano di nuovo il monitoraggio, che nel mio caso deve essere continuo. Ma le contrazioni, stando sdraiata, calano di intensità e si diradano.
Sto perdendo tempo prezioso!!!!!!!!!!
Lo faccio presente alla ginecologa di turno, che mi visita e trovatami di 3 cm mi dice: “Anche se non posso dichiararti ancora in travaglio, dato che il collo dell’utero non è completamente appianato, ti portiamo in sala parto, dove abbiamo il monitoraggio telemetrico che ti consente di muoverti come vuoi”. Vorrei baciarla per questa sua disponibilità.
Mi trasferisco nel blocco parto, mi applicano il monitoraggio senza fili e ricomincio a peregrinare per la stanza. Ed ecco che le contrazioni risalgono. Vedo il monitoraggio, il tracciato ha un fondo scala a 120kPa e vedo le mie contrazioni disegnare degli impulsi che raggiungono quel picco, durano una quarantina di secondi e poi scendono. Si sono avvicinate e compaiono ogni due minuti circa. Me le gestisco sempre camminando, mi accorgo che quando raggiungono gli 80kPa mi devo fermare e mi esce un OOOOOOOOHHHHHHHHH dalla gola mentre dondolo il bacino. Con un occhio al display rosso dell’orologio della sala parto, so che in un tot di secondi scendono per lasciarmi poi una pausa di riposo. Non guardo l’ora, solo i minuti e i secondi catturano la mia attenzione. Finita una contrazione non vedo l’ora che arrivi la successiva, un passo avanti verso la nascita, per me che ho le ore contate per arrivare a veder nascere mio figlio in modo naturale.
In sottofondo mi fa compagnia il galoppare del battito di Luca. Ripassa la dottoressa e mi dice che vado bene, che me la sto cavando. Sono sola in sala parto, ho mandato mio marito a casa a riposare e a far compagnia alla primogenita.
Ad un certo punto però devo fermare l’ostetrica che vedo passare in corridoio, per chiederle un assorbente. Ad ogni contrazione sento scendere un lago di sangue e inzuppo in fretta quello che indosso. Le chiedo se è normale e lei mi risponde che può essere il buon segno della dilatazione che procede, ma mi chiede di visitarmi e mostrarle quanto sangue perdo. Mi visita e io sono sempre solo di 3 cm, ma chiede alla ginecologa di guardare il mio assorbente, mi sembra un po’ perplessa. Anche la ginecologa mi visita, ho un collo strano, da una parte è completamente appianato, dall’altra è sempre un po’ “cicciotto”. Sarà l’effetto del mio utero bicorne?
E tutto quel sangue potrebbe essere dovuto al corno non “abitato”? Lo stesso che, trovandosi inaspettatamente sotto il bisturi del chirurgo durante il primo cesareo, mi aveva fatto perdere un litro di sangue la scorsa volta? Mi dimentico di farlo presente alla dottoressa.
A quel punto però le cose cominciano a precipitare. Le contrazioni si fanno improvvisamente più intense, il fondo scala sul tracciato non esiste più. Salgono, salgono, salgono e durano, durano, durano. Anche due minuti in alcuni casi. Mi fanno urlare! E sono continue, senza pausa per riprendere fiato.
La ginecologa torna in fretta da me, la sento che commenta con l’ostetrica: “Ma cosa succede? Un attimo fa non erano così dolorose”.
E’ preoccupata, mi visita, in pochi minuti sono passata dai 3 ai 4 cm di dilatazione. Ma la vedo tesa. Mi chiede se tra una contrazione e l’altra provo dolore. No, in effetti no, ma l’intervallo tra le contrazioni è praticamente inesistente.
So che tanto sangue e dolore continuo sono pessimi segnali da vedere in una precesarizzata. Ma eccolo il segnale peggiore: arriva dal battito del bambino. Seppur in tutto questo trambusto ho sempre tenuto un orecchio al suo galoppare e improvvisamente anche io percepisco una pausa troppo lunga. Mi fermo e chiedo: “Ma Luca dov’è???”
La ginecologa mi dice di stare calma e di respirare profondamente. Eseguo. Ubbidisco. Ma la vedo sempre più tesa. Un attimo dopo mi dice e dice a tutto il suo staff: “Tra 5’ siamo in sala operatoria”
“ANDIAMO” dico io.
In men che non si dica ho quattro persone addosso, mi infilano le calze, il catetere, la cuffia e mi mettono sulla lettiga. Si corre in sala operatoria, sento la ginecologa imprecare che vuole il neonatologo immediatamente in sala e non al telefono. Arrivati là mi chiedono di trasferirmi sul lettino il più in fretta possibile, non finiscono la frase che io sono già saltata là sopra. Sento che mi stanno spennellando la pancia, l’anestesista armeggia con le valvole della flebo, mi dice: “Signora, tra qualche secondo sarà addormentata” faccio giusto in tempo a rispondere: “Speriamo”. In quel momento ho paura che inizino a tagliarmi mentre ancora sono cosciente. Ma non è così. Perdo i sensi.
Sono le 19e59. Luca nasce mentre la sua mamma dorme.
Matilde era rimasta podalica perché io ho un utero bicorne, accertato definitivamente solo in sede di TC, e perciò, arrivato il momento di girarsi non aveva più avuto lo spazio necessario per farlo ed era rimasta dritta dritta seduta fiera dentro la mia pancia asimmetrica.
Con questa gravidanza ho sperato da subito di non dover ripetere l’esperienza e il fratellino infatti, buono buono, si posiziona a testa in giù fin dai primi mesi e dalla morfologica in poi non lo vediamo più cambiare posizione. Trascorre tutte le settimane di gravidanza sottosopra.
I medici mi propongono un VBAC che io ovviamente accetto, contentissima di mettermi alla prova con un travaglio, sperando di arrivare a partorire Luca naturalmente.
Trascorrono i le settimane, i mesi e si arriva alla metà di agosto; la data presunta (30 agosto) si avvicina sempre più e io sono davvero calma e serena. Al contrario di molte mie compagne di pancia agostine, non sono ansiosa né di anticipare il suo arrivo, né all’idea di dover partorire. Solo il caldo soffocante che ci sorprende in questa fine estate mi dà noia e, per la prima volta in vita mia, sono sempre a studiare le previsioni del tempo sperando in qualche perturbazione.
La mattina del 27 agosto, sento che si è alzato il vento. Bene, mi piace tantissimo il vento, lo adoro.
Sono ancora a letto, quando sento una strana sensazione. Mi alzo e corro in bagno. Giusto il tempo di raggiungerlo e PLOFF!! Mi si sono rotte le acque. Sono le 6e30 del mattino.
Il primo pensiero è “##@@§§!”, ma non per la paura di ciò che mi aspetta, ma perché sono proprio nella condizione più sfavorevole per la buona riuscita di un VBAC. Ho il tampone positivo, devo andare in fretta all’ospedale per la profilassi antibiotica e so che il parto deve avvenire entro un tot di ore, altrimenti si procede con TC per non rischiare l’infezione al bambino.
In una non precesarizzata la procedura è quella di indurre il travaglio, ma è una cosa che non possono fare con me, le contrazioni sarebbero da subito troppo violente per la mia vecchia cicatrice. Devo sperare che il mio travaglio inizi in fretta in modo spontaneo, ma, ahimè, io sono ancora chiusa, sigillata, tappata e senza alcun segno di travaglio imminente.
Arrivati in ospedale, mi fanno il primo monitoraggio e la visita, che conferma ciò che già sapevo. Contrazioni deboli e sporadiche, collo posteriore conservato chiuso. Sono le 9e30.
Data la rottura del sacco mi ricoverano, mi accomodo nella mia stanza e inizio a sperare nel mal di pancia…
Mio marito mi suggerisce di sdraiarmi e riposare, che la giornata sarà lunga, ma io non voglio proprio. Anzi, cammino cammino e sto sempre in piedi sperando che qualcosa si avvii. Ad un certo punto ecco i primi doloretti simil mestruali. Mi si stampa un sorriso sulla faccia!
Verso le 12 le contrazioni iniziano a farsi sentire maggiormente e diventano più regolari, distanziate di 3-4 minuti. Continuo a camminare su e giù per la stanza: voglio che salgano, che prendano bene.
Nel frattempo leggo il giornale e chiacchiero con la mia compagna di stanza. Tornano per una nuova visita e io risulto dilatata di 2cm anche se il collo dell’utero non è ancora completamente appianato. Decidono perciò di non farmi pranzare e io avevo, prudentemente, evitato anche di fare colazione, ben cosciente del fatto che il rischio di finire in sala operatoria è alto. Ma non ho fame, il mio corpo, come se sapesse, mi aveva inspiegabilmente resa vorace nei giorni precedenti, facendomi incamerare le calorie che mi sarebbero servite oggi.
Dopo la visita si decidono a mettermi la flebo di antibiotico e mi attaccano di nuovo il monitoraggio, che nel mio caso deve essere continuo. Ma le contrazioni, stando sdraiata, calano di intensità e si diradano.
Sto perdendo tempo prezioso!!!!!!!!!!
Lo faccio presente alla ginecologa di turno, che mi visita e trovatami di 3 cm mi dice: “Anche se non posso dichiararti ancora in travaglio, dato che il collo dell’utero non è completamente appianato, ti portiamo in sala parto, dove abbiamo il monitoraggio telemetrico che ti consente di muoverti come vuoi”. Vorrei baciarla per questa sua disponibilità.
Mi trasferisco nel blocco parto, mi applicano il monitoraggio senza fili e ricomincio a peregrinare per la stanza. Ed ecco che le contrazioni risalgono. Vedo il monitoraggio, il tracciato ha un fondo scala a 120kPa e vedo le mie contrazioni disegnare degli impulsi che raggiungono quel picco, durano una quarantina di secondi e poi scendono. Si sono avvicinate e compaiono ogni due minuti circa. Me le gestisco sempre camminando, mi accorgo che quando raggiungono gli 80kPa mi devo fermare e mi esce un OOOOOOOOHHHHHHHHH dalla gola mentre dondolo il bacino. Con un occhio al display rosso dell’orologio della sala parto, so che in un tot di secondi scendono per lasciarmi poi una pausa di riposo. Non guardo l’ora, solo i minuti e i secondi catturano la mia attenzione. Finita una contrazione non vedo l’ora che arrivi la successiva, un passo avanti verso la nascita, per me che ho le ore contate per arrivare a veder nascere mio figlio in modo naturale.
In sottofondo mi fa compagnia il galoppare del battito di Luca. Ripassa la dottoressa e mi dice che vado bene, che me la sto cavando. Sono sola in sala parto, ho mandato mio marito a casa a riposare e a far compagnia alla primogenita.
Ad un certo punto però devo fermare l’ostetrica che vedo passare in corridoio, per chiederle un assorbente. Ad ogni contrazione sento scendere un lago di sangue e inzuppo in fretta quello che indosso. Le chiedo se è normale e lei mi risponde che può essere il buon segno della dilatazione che procede, ma mi chiede di visitarmi e mostrarle quanto sangue perdo. Mi visita e io sono sempre solo di 3 cm, ma chiede alla ginecologa di guardare il mio assorbente, mi sembra un po’ perplessa. Anche la ginecologa mi visita, ho un collo strano, da una parte è completamente appianato, dall’altra è sempre un po’ “cicciotto”. Sarà l’effetto del mio utero bicorne?
E tutto quel sangue potrebbe essere dovuto al corno non “abitato”? Lo stesso che, trovandosi inaspettatamente sotto il bisturi del chirurgo durante il primo cesareo, mi aveva fatto perdere un litro di sangue la scorsa volta? Mi dimentico di farlo presente alla dottoressa.
A quel punto però le cose cominciano a precipitare. Le contrazioni si fanno improvvisamente più intense, il fondo scala sul tracciato non esiste più. Salgono, salgono, salgono e durano, durano, durano. Anche due minuti in alcuni casi. Mi fanno urlare! E sono continue, senza pausa per riprendere fiato.
La ginecologa torna in fretta da me, la sento che commenta con l’ostetrica: “Ma cosa succede? Un attimo fa non erano così dolorose”.
E’ preoccupata, mi visita, in pochi minuti sono passata dai 3 ai 4 cm di dilatazione. Ma la vedo tesa. Mi chiede se tra una contrazione e l’altra provo dolore. No, in effetti no, ma l’intervallo tra le contrazioni è praticamente inesistente.
So che tanto sangue e dolore continuo sono pessimi segnali da vedere in una precesarizzata. Ma eccolo il segnale peggiore: arriva dal battito del bambino. Seppur in tutto questo trambusto ho sempre tenuto un orecchio al suo galoppare e improvvisamente anche io percepisco una pausa troppo lunga. Mi fermo e chiedo: “Ma Luca dov’è???”
La ginecologa mi dice di stare calma e di respirare profondamente. Eseguo. Ubbidisco. Ma la vedo sempre più tesa. Un attimo dopo mi dice e dice a tutto il suo staff: “Tra 5’ siamo in sala operatoria”
“ANDIAMO” dico io.
In men che non si dica ho quattro persone addosso, mi infilano le calze, il catetere, la cuffia e mi mettono sulla lettiga. Si corre in sala operatoria, sento la ginecologa imprecare che vuole il neonatologo immediatamente in sala e non al telefono. Arrivati là mi chiedono di trasferirmi sul lettino il più in fretta possibile, non finiscono la frase che io sono già saltata là sopra. Sento che mi stanno spennellando la pancia, l’anestesista armeggia con le valvole della flebo, mi dice: “Signora, tra qualche secondo sarà addormentata” faccio giusto in tempo a rispondere: “Speriamo”. In quel momento ho paura che inizino a tagliarmi mentre ancora sono cosciente. Ma non è così. Perdo i sensi.
Sono le 19e59. Luca nasce mentre la sua mamma dorme.