ti aspettavamo domani
Inviato: 20 mag 2008, 17:02
Ciao Matteo, sei lì che dormi sotto la finestra di casa. In piena luce con i tuoi occhietti grigi, di quel ceruleo che solo i neonati hanno, che si socchiudono di tanto in tanto come a voler scrutare che sia tutto lì, dove l’hai lasciato.
Oggi voglio provare a raccontarti di te, a fermare un ricordo che domani non avrai e che anche io oggi faccio fatica a raccogliere tra i miei pensieri.
Ti aspettavamo domani Matteo, credevamo saresti nato come i dottori avevano pianificato, seguendo i come i dove e i perché di noi “grandi”.
Io e papà cercavamo il posto migliore per farti nascere, pontificavamo su cos’era meglio per te e tu hai scelto… senza tanti problemi.
Hai scelto una giornata di sole, invece di queste tristi ore di pioggia che ti avrebbero accolto.
Hai scelto di stupire senza spaventarci, di essere protagonista senza causare apprensioni, dolori o paure.
Un mese prima, era ora di affacciarsi al mondo, era giusto e tu lo sapevi.
Non hai fatto male, io ero in treno per andare alla visita e c’era solo un po’ di mal di schiena, nulla più.
Poi il sorriso di papà alla stazione, la visita alla lussuosa clinica che non ci piaceva per nulla e l’ultima sospirata visita dalla ginecologa per i dettagli della tua nascita.
Eccomi sul lettino, ecografo e gel freddo sulla pancia. Il tuo cuore, puntuale come una carezza che ci riscaldava da 8 mesi, che trotta nella mia pancia.
Io e tuo padre, ci guardiamo ed è un sorriso.
Visita interna, tutto da copione, ormai sappiamo come funziona.
Ma non è così. Un dolore e sangue.
Cos’è? Non è Matteo? Lui sta bene, trottava pochi secondi fa nell’ecografo.
Si vola all’ospedale, quasi facendo testamento, col solo desiderio di sapere come stai.
Sono mamma, in quel momento ero mamma e non lo sapevo.
La tua vita prima di tutto, prima della mia stessa esistenza, era il mio pensiero, ero diventata una madre.
Entro in ospedale, mi aspettano, ma questo Matteo lo so con la ragione ma non lo ricordo.
Tuo papà ha quel colorito verde che dice tutto di lui, è il solito splendido libro aperto.
Teso mi aspetta fuori mentre nella sala travaglio mi legano due cinture di sicurezza alla pancia.
Alle 20.04 c’è un messaggio sul mio cellulare verso papà: e’ tutto ok, cucciolo trotta e io bene.
Ancora sala visita mentre arriva la tua ginecologa: c’è qualche contrazione, Matteo sta bene, il sanguinamento era il mio utero. Un po’ di attesa per le dimissioni e si va a casa.
Passa più di un ora, papà freme, vuole andare a casa e domani si va in ospedale a Cuorgnè. Sembra
la scelta migliore, in quel lungo corridoio pieno di buio, pancioni e attese, più o meno dolci.
Entro in sala visita serena, sapendo che tra pochi minuti saremo per mano io e tuo padre a camminare verso la macchina, col tepore di maggio che questa sera regala.
Mi stendono sul lettino per la solita visita interna, beh amore, da lì non mi alzerò più senza di te.
E’ dilatata, si va in sala operatoria. Dicono al fondo dei miei piedi.
Non ho ancora capito che succede e qualcuno mi sta rasando sotto, qualcuno mi buca una spalla e mi chiedono se ho tutti gli esami.
Certo che ho tutto, tu mi hai dato tempo per farlo, mi hai dato modo di non aver paura.
Non piango, non ho timore perchè non c’è tempo.
Tu nascerai, lo dicono a papà.
E’ una operazione al cuore non alla pancia, e da li che uscirai, perché e lì che io e papà ti abbiamo sistemato in quei mesi.
Esco con un camice bianco e incrocio tuo padre. Uno sguardo in un viso che si intona col camice. Sorride, non ricordo molto ma lo amo. E tu con me.
Perché è così facile amarlo, amarvi.
L’uomo col sorriso di tuo padre e il colorito di gesso mi scorta fino all’entrata della sala operatoria, ed è di nuovo ti amo, torno presto, aspettami.
Non riesco ad avere paura per me, ma per voi. Sono moglie e madre e nemmeno lo sapevo.
Ho ancora la sensazione della mano calda di tuo padre che scivola fuori dalla mia trasportata sulla lettiga e vedo sopra di me le luci della sala operatoria.
Mi chiedono se voglio la totale o la spinale ma come potrei dormire mentre tu nasci, io che di te non so nulla eppure alimento il tuo battito da mesi? L’anestesista mi porta via velocemente metà del corpo, mi spiega tutto quel che accade, è i miei occhi per una mezz’ora.
Sono le 22 e 31, sei fuori da me. Sento la tua voce, ti vedo passare veloce a gambe all’aria e da dietro il telo verde la dottoressa mi dice: è Cesare.
Non piango credo, ma non ci giurerei.
Voglio solo sapere di te. Come stai, chi sei, quanto pesi e se respiri.
In queste due domande c’è già il desiderio di portarti a casa, di iniziare la vita che ci aspetta, ora che sei vivo e piangi.
Ti avvicinano a me, sembri una miniatura di tuo padre spalmato di ricotta.
Pochi secondi un bacio, e via per farti vedere dai pediatri. Ti aspettano perché di te si sa poco, certamente sai fare le sorprese.
Il resto è una notte di speranza e attesa, di gioia e preoccupazione.
E’ la notte di una famiglia che è nata dall’amore, la nostra.
Matteo è nato a 35 settimane, con taglio cesareo d’urgenza e pesava 2.950.
Nessuno di noi ha il coraggio di chiedersi che cosa sia successo quel giorno e se poteva andare diversamente.
Sarebbe come cercare di cambiare la trama ad una favola, la più bella che si possa raccontare.
Oggi voglio provare a raccontarti di te, a fermare un ricordo che domani non avrai e che anche io oggi faccio fatica a raccogliere tra i miei pensieri.
Ti aspettavamo domani Matteo, credevamo saresti nato come i dottori avevano pianificato, seguendo i come i dove e i perché di noi “grandi”.
Io e papà cercavamo il posto migliore per farti nascere, pontificavamo su cos’era meglio per te e tu hai scelto… senza tanti problemi.
Hai scelto una giornata di sole, invece di queste tristi ore di pioggia che ti avrebbero accolto.
Hai scelto di stupire senza spaventarci, di essere protagonista senza causare apprensioni, dolori o paure.
Un mese prima, era ora di affacciarsi al mondo, era giusto e tu lo sapevi.
Non hai fatto male, io ero in treno per andare alla visita e c’era solo un po’ di mal di schiena, nulla più.
Poi il sorriso di papà alla stazione, la visita alla lussuosa clinica che non ci piaceva per nulla e l’ultima sospirata visita dalla ginecologa per i dettagli della tua nascita.
Eccomi sul lettino, ecografo e gel freddo sulla pancia. Il tuo cuore, puntuale come una carezza che ci riscaldava da 8 mesi, che trotta nella mia pancia.
Io e tuo padre, ci guardiamo ed è un sorriso.
Visita interna, tutto da copione, ormai sappiamo come funziona.
Ma non è così. Un dolore e sangue.
Cos’è? Non è Matteo? Lui sta bene, trottava pochi secondi fa nell’ecografo.
Si vola all’ospedale, quasi facendo testamento, col solo desiderio di sapere come stai.
Sono mamma, in quel momento ero mamma e non lo sapevo.
La tua vita prima di tutto, prima della mia stessa esistenza, era il mio pensiero, ero diventata una madre.
Entro in ospedale, mi aspettano, ma questo Matteo lo so con la ragione ma non lo ricordo.
Tuo papà ha quel colorito verde che dice tutto di lui, è il solito splendido libro aperto.
Teso mi aspetta fuori mentre nella sala travaglio mi legano due cinture di sicurezza alla pancia.
Alle 20.04 c’è un messaggio sul mio cellulare verso papà: e’ tutto ok, cucciolo trotta e io bene.
Ancora sala visita mentre arriva la tua ginecologa: c’è qualche contrazione, Matteo sta bene, il sanguinamento era il mio utero. Un po’ di attesa per le dimissioni e si va a casa.
Passa più di un ora, papà freme, vuole andare a casa e domani si va in ospedale a Cuorgnè. Sembra
la scelta migliore, in quel lungo corridoio pieno di buio, pancioni e attese, più o meno dolci.
Entro in sala visita serena, sapendo che tra pochi minuti saremo per mano io e tuo padre a camminare verso la macchina, col tepore di maggio che questa sera regala.
Mi stendono sul lettino per la solita visita interna, beh amore, da lì non mi alzerò più senza di te.
E’ dilatata, si va in sala operatoria. Dicono al fondo dei miei piedi.
Non ho ancora capito che succede e qualcuno mi sta rasando sotto, qualcuno mi buca una spalla e mi chiedono se ho tutti gli esami.
Certo che ho tutto, tu mi hai dato tempo per farlo, mi hai dato modo di non aver paura.
Non piango, non ho timore perchè non c’è tempo.
Tu nascerai, lo dicono a papà.
E’ una operazione al cuore non alla pancia, e da li che uscirai, perché e lì che io e papà ti abbiamo sistemato in quei mesi.
Esco con un camice bianco e incrocio tuo padre. Uno sguardo in un viso che si intona col camice. Sorride, non ricordo molto ma lo amo. E tu con me.
Perché è così facile amarlo, amarvi.
L’uomo col sorriso di tuo padre e il colorito di gesso mi scorta fino all’entrata della sala operatoria, ed è di nuovo ti amo, torno presto, aspettami.
Non riesco ad avere paura per me, ma per voi. Sono moglie e madre e nemmeno lo sapevo.
Ho ancora la sensazione della mano calda di tuo padre che scivola fuori dalla mia trasportata sulla lettiga e vedo sopra di me le luci della sala operatoria.
Mi chiedono se voglio la totale o la spinale ma come potrei dormire mentre tu nasci, io che di te non so nulla eppure alimento il tuo battito da mesi? L’anestesista mi porta via velocemente metà del corpo, mi spiega tutto quel che accade, è i miei occhi per una mezz’ora.
Sono le 22 e 31, sei fuori da me. Sento la tua voce, ti vedo passare veloce a gambe all’aria e da dietro il telo verde la dottoressa mi dice: è Cesare.
Non piango credo, ma non ci giurerei.
Voglio solo sapere di te. Come stai, chi sei, quanto pesi e se respiri.
In queste due domande c’è già il desiderio di portarti a casa, di iniziare la vita che ci aspetta, ora che sei vivo e piangi.
Ti avvicinano a me, sembri una miniatura di tuo padre spalmato di ricotta.
Pochi secondi un bacio, e via per farti vedere dai pediatri. Ti aspettano perché di te si sa poco, certamente sai fare le sorprese.
Il resto è una notte di speranza e attesa, di gioia e preoccupazione.
E’ la notte di una famiglia che è nata dall’amore, la nostra.
Matteo è nato a 35 settimane, con taglio cesareo d’urgenza e pesava 2.950.
Nessuno di noi ha il coraggio di chiedersi che cosa sia successo quel giorno e se poteva andare diversamente.
Sarebbe come cercare di cambiare la trama ad una favola, la più bella che si possa raccontare.