Parto prematuro: quando il bimbo nasce troppo presto
Inviato: 20 nov 2012, 0:17
Ciao a tutte!
Sono mesi che penso di scrivere la mia storia.
Per me stessa inanzitutto. E per confrontarmi con altre donne come me.
Poi ho trovato questo forum e questa sezione e ho deciso di farlo.
E' molto lunga e triste e non vi biasimo se non vorrete leggerla...
La mia storia comincia bene.. casa comprata, matrimonio (civile) alle porte e un ritardo troppo lungo anche per il mio ciclo scombussolato.. i test in farmacia non segnalano nulla però... quindi, per tagliar la testa la toro, facciamo direttamente gli esami del sangue e... due giorni dopo il matrimonio POSITIVO! Siamo in 3!
Che perfezione!
La gravidanza procede a meraviglia, niente nausee, niente disturbi se non tanta tanta sonnolenza. Via la prima ecografia un minuscolo cuoricino che batte.. il tempo passa, si fanno progetti, sogni, tutto va alla perfezione, finito il primo trimestre.. arriva la ventesima settimana, la morfologica ci mostra un maschietto perfetto, sanissimo e già da un paio di settimane, forse di più lo sento dare calcetti e fare capriole. Il mondo ci sembra perfetto! Abbiamo anche trovato il nome! Gioele! Ci piace, deciso!
Il giorno che ho concluso la 23 settimana la mattina sono andata a fare gli esami del sangue, sono di buon umore, è una bella giornata e mi sento in forma, ancora la pancia non ne vuole sapere di farsi vedere ma pazienza, arriverà.. decido di fare una paseggiata fino a casa di mia madre che abita vicino all'ospedale e portarle le brioches per colazione.
Vado in bagno e ho gli slip macchiati di sangue. Non tantissimo ma sufficiente a farmi preoccupare seriamente. "Mamma, portami al pronto soccorso, quì qualcosa non va". Al pronto soccorso mi mandano sù in ostetricia e ginecologia.. a piedi. Allora io penso, beh, se mi fanno fare tutta quella strada a piedi magari non è così grave... e invece, appena il medico mi visita scopre una dilatazione di 3 centimetri. Io di mio, non sento alcun fastidio. Mi piazzano immediatamente in sala travaglio, con una flebo contro le contrazioni e mi fanno una puntura di bentelan per aiutare il bimbo a maturare i polmoni.. c'è il rischio che nasca ed è troppo troppo piccolo.
A Pordenone non sono attrezzati per bambini così prematuri, telefonano all'ospedale di Udine e appena si sono accertati che la dilatazione si è fermata mi trasferiscono con l'ambulanza.
A Udine rimango una settimana, non mi posso alzare dal letto neppure per andare al bagno. Mi imbottiscono di farmaci contro le contrazioni e di antibiotici per scongiurare le infezioni visto che la cervice è dilatata.
Dopo tre giorni comincio a sentire dei forti dolori concentrati nella zona pubica e sulla schiena, ne parlo ai medici e concludiamo che non sono contrazioni: non sento l'utero indurirsi e gli strumenti di monitoraggio non ne rilevano, inoltre non sono regolari. La conclusione è che sono dovuti al fatto che non posso muovermi dal letto. Però continuano. Gioele comunque sta bene, continua a fare capriole e a dare calcetti.
La sera del 28 novembre sto guardando un film al pc con la mia compagna di stanza, è quasi mezzanotte e i dolori si fanno sempre più intensi, insopportabili.
Chiamo l'ostetrica ma il monitoraggio ancora non rileva contrazioni però.. ogni volta che ho un dolore il battito del piccolo si allontana e dal grafico si vede chiaramente che succede ogni 5 minuti. Contrazioni!
Vengo portata immediatamente in sala travaglio, mentre le contrazioni aumentano di intensità e di numero.. sono ogni tre minuti.. poi continue. Travaglio inarrestabile. Via i farmaci tocolitici e vai di ossitocina, deve nascere il più velocemente possibile.
Mi si rompono le acque e ho cinque minuti di sollievo, mi portano in sala parto dove l'ostrica fa in tempo a dirmi che appena sento la prossima contrazione devo spingere che questa arriva.. e in un unica lunga spinta e con l'aiuto dell'episiotomia Gioele nasce. E' così piccolo che è stato più doloroso il taglio dell'episiotomia che il suo passaggio. Sono le 00.36. Io sono mamma e mio marito non è riuscito ad arrivare in tempo. Lo portano via subito, naturalmente non piange.
Io non sono molto cosciente di quello che sta succedendo, mi sento stordita dalla velocità delle cose e dalle luci della sala parto. Mi sento quasi galleggiare. Riesco a registrare l'odio che provo per il medico ( o lo specializzando?) che mi sta massaggiando la pancia che mi fa ancora male quando vorrei essere lasciata in pace. Qualcuno mi informa che Gioele è vivo. Ad un certo punto un'ostetrica entra con un fagottino in mano. "Questo è il tuo bambino." Sembra un bambolotto da quanto è piccolo, tutto infagottato e con il berrettino ma.. RESPIRA DA SOLO! Solo per questo ho potuto vederlo. Lo portano via immediatamente, deve essere affidato alla TIN al più presto... Nella mia testa rimane solo un pensiero: è vivo, respira. Non sono realmente cosciente della gravità della situazione. Arriva mio marito nel frattempo, lui potrà andarlo a vedere alla TIN, a me non è permesso fino al mattino dopo. Vengo portata in camera talmente sfinita che rimango immobile per mezz'ora buona. Poi mi sveglio e mi sento in gran forma.. quando mi danno il permesso di alzarmi per andare in bagno mi sento euforica. Grazie agli antidolorifici non sento il dolore dei punti e passo la notte a camminare su e giù per i corridoi, non mi sembra vero di potermi muovere. Sono ancora incosciente della gravità della situazione. Non riesco a stare ferma. Mi dicono che l'euforia è data dagli improvvisi sbalzi ormonali dopo il parto ma che dovrei riposare. Ma chi ci riesce! Quella notte non dormo. E finalmente la mattina armata di coperta e sedia a rotelle mi posso finalmente far accompagnare alla TIN. Gioele è lì, minuscolo dentro all'incubatrice. Pesa 600 grammi e il calo fisiologico per lui sarà un ardua prova. E' lungo 32 cm. Non sono la miriade di tubi attaccati al suo corpo a spaventarmi. So che sono li per aiutarlo a sopravvivere. Gli hanno comunque messo il respiaratore perchè lui no debba sforzarsi troppo, ma i polmoni, per quanto prematuri, per ora promettono bene. A distruggerci è l'incontro con la neonatologa. Le possibilità di sopravvivenza nei nati così prematuri sono del 50%. Non potranno fare pronostici sul futuro prima di un mese ma ci avvisano: ha un emorragia cerebrale, comunissima nei prematuri, al momento non è pericolosa, ma solo il tempo dirà se si riassorbirà o se aumenterà causando problemi anche gravi. Il cuore è forte, ma alcune arterie non sono ancora ben formate, anche questo è "normale". L'intestino, l'intestino ancora non ha funzionato, e se non lo farà presto saranno guai grossi. In più c'è la possibilità, nei prematuri che vada in necrosi e debba quindi subire un intervento. Oltre a tutto ciò, sono chiari, se sopravvive, c'è comunque la possibilità che abbia dei problemi per tutta la vita. Annientati. E' così che ci sentiamo. La dottoressa è stata molto gentile e ha avuto molto tatto ma la realtà dei fatti no cambia. La situazione è gravissima. Gioele però, nei giorni successivi si dimostra singolarmente forte. Infermiere e dottoresse lo definiscono un leone. Il respiratore ormai è solo un ausilio, non ci sono infezioni in atto, e l'intestino ha funzionato. Fa la pipì regolarmente. Ci azzardiamo a sperare. Nel frattempo io sono stata dimessa e ora passiamo le giornate in sua funzione. Passiamo il pomeriggio con lui, a guardarlo da dietro il vetro. Si muove, a volte sgambetta arrabbiato quand olo cambiano. Ci mettiamo qualche giorno a trovare il coraggio di toccarlo come ci hanno spiegato i medici, per paura di fargli male. Sappiamo che sarà una cosa lunga, che ci vorranno mesi prima di poterlo tenere in braccio e poi poterlo portare a casa con noi ma stiamo sperando.
Un giorno però arriviamo e la dottoressa no è rilassata come al solito. Uno dei presagi peggiori si è avverato. L'intestino è andato in necrosi. Ci chiedono l'autorizzazione a trasferirlo all'ospedale di Treviso, dove sono maggiormente specilaizzati in interventi intestinali su bimbi prematuri. E' un momento critico, già il trasferimento sarà uno stress non indifferente per lui e se ce la farà, non è detto che sia abbastanza stabile per affrontare l'intervento o che riesca a superarlo.
Sono ore di terrore, quando arriviamo a Treviso lui è appena arrivato. E' stato stabile per tutto il viaggio il mio leone. Il medico lo visita e lo ritiene abbastanza forte per l'intervento. I rischi non cambiano. Non so quanto tempo abbiamo aspettato in sala d'attesa con l'angoscia ma poi lo hanno riportato indietro, vivo. Il medico ci dice che è stato stabile tutto il tempo, il cuore non ha mai smesso di battere e non è mai servito rianimarlo. Gioia ma... ha dovuto asportare quasi completamente l'intestino, era rimasto poco o nulla da salvare. Ora ha un piccolo catetere poco sotto lo stomaco. Per ora non c'è altro da fare, dovrà subire diversi altri interventi nei mesi successivi per ripristinare le funzionalità intestinali.
Passa giorni completamente sedato. E' angosciante vederlo immobile. Ma sembra vada abbastanza bene, per quanto possa andar bene una situazione così critica.
I giorni passano, il peso continua a salire e scendere ma dopo un po' lo svegliano ma lo mettono in una sorta di ciabattina perchè non si muova troppo sia per via dei punti che perchè non si affatichi troppo.
A volte sembra riconoscere la nostra voce e stringe le nostre dita con le manine.. sappiamo che è un riflesso inconscio ma ci da una gioia che non credevamo possibile provare.
Intorno al 15 dicembre qualcosa comincia ad andare storto.. i polmoni che fino a quel momento si erano comportati egregiamente per un prematuro così grave cominciano a dare segno di stanchezza e i medici sono costretti a portare il respiratore al massimo. Per ora però ci dicono solo che non possono fare previsioni. Quando sabato 18 arriviamo in ospedale ci accorgiamo da soli che le cose non vanno bene... il respiratore è al massimo ma sui monitor, che ormai abbiamo imparato a leggere, l'ossigenazione è in diminuzione e l'allarme scatta in continuazione e anche il battito che era sempre stato stabile ha dei cali. Le infermiere vengono a controllare ma fanno poco o nulla, a volte lo stimolano con carezze su mani e piedi e si riprende un po', qualche volta premono qualche bottone finchè l'allarme si spegne ma non dura molto.
Un'infermiera si avvicina e con tono petulante si avvicina e comincia a parlare di Gioele al passato, fingendo che a parlare sia lui "sono stato tanto bravo fino ad ora, ma sono tanto stanco.." e cose del genere. Non ho il coraggio di risponderle e sento il bisogno di uscire per sfogare l'attacco di rabbia che si trasforma subito in pianto. Fuori ci sono i miei suoceri, sono venuti con noi nonstante non possano vederlo se non a più di dieci metri attraverso 3 vetrate. Mia suocera è come una madre per me e riesce a calmarmi.
Quando rientro un medico ci chiama in disparte per aggiornarci. E' dalla notte precedente che Giole ha queste crisi.. i polmoni sono deboli e il cuore si stanca, inoltre l'intervento è stato un grosso stress. Ci dice che questo tipo di crisi sono molto comuni e che potrebbero anche passare ma ci chiede di rimanere e tra le righe capiamo che stanno anche preventivando che non ce la faccia.
Accusiamo il colpo senza apparenti conseguenze.. infondo non è ancora detto.. e la speranza non ci ha abbandonato.
Torniamo da Gioele e l'orribile infermiera ci ronza ancora intorno, con la sua voce petulante ci chiede più volte se vogliamo chiamare il parroco perchè lo battezzi.
Ad un certo punto mi spazientisco e le rispondo che verrà batezzato quando tornerà a casa con noi, e che se non dovesse farcela non credo che nostro Signore sia così terribile da non volerlo con se solo perchè non gli è stata spruzzata dell'acqua in testa. Riesco così a liberarmi per un po' di quella maledetta.
Non so quanto tempo passa. Passiamo il tempo a guardare il monitor. Sfioro appena Gioele con le mani per non stimolarlo troppo, giusto che senta che la mamma è li. I valori dell'ossigeno e il battito continuano a scendere e risalire ma sempre con maggior fatica. Mi ritrovo a ripetere "ti prego, ti prego, ti prego" all'infinito con gli occhi puntati su quel monitor maledetto.
Due infermiere, compresa la malefica, e il medico ci raggiungono. All'ennesimo scendere dei valori mi sono resa conto di quello che sta succedendo ma ho bisogno di sentirmelo dire.. mi giro verso il medico che con dolcezza ci dice "questo bambino non ha più risorse".
Mi accascio sulla sedia, non ricordo se ho pianto. Combatto un attimo con il desiderio di dirgli che faccia qualcosa ma so benissimo che sarebbe un accanirsi inutile, se ne era già parlato prima. Hanno spento gli allarmi del monitor e c'è quasi silenzio nella Tin nonostante ci siano altri cinque o sei bambini. La maledetta infermiera comincia blaterare con il suo solito tono e la zittisco malamente. Dopo due anni la odio ancora. Spero di non trovarmela mai più davanti.
Il medico gli stacca il respiratore, mi assicura che non sta soffrendo e mi dice che il suo cuore batte ancora, mi chiede se voglio prenderlo in braccio per salutarlo ora che è libero da tutti quei tubi ma non ci riesco.
In quel momento penso che se solo qualcuno mi sfiora potrei esplodere in mille piccoli pezzi come un bicchiere caduto a terra. Mio marito è li accanto a me.. è l'unico a cui mi appoggio, con lui non serve parlare.
Gioele se ne è andato. Mi sento come se galleggiassi in una bolla e dentro nulla, solo il vuoto intervallato da ondate di dolore così lancinanti che le caccio via appena le sento arrivare. Credo di aver pianto davvero poco. Ci danno tutto il tempo che vogliamo ma noi sentiamo il bisogno di uscire da li. Usciti diamo la notizia ai miei suoceri, altro breve pianto, abbracci e vuoto. Ci accompagnano in una stanza dove possiamo stare tranquilli e poco dopo ci portano Gioele in una carrozzina in cui il suo corpicino si perde, avvolto in una copertina e per la prima volta senza tubi, senza cerotti... Mi sento un po' in colpa perchè non riesco a rimanere in quella stanza a lungo ma non riesco ad accettare che sia lui. Lui è quello che mi dava i calci, quello che sgambettava nell'incubatrice, che sbadigliava e che si arrabbiava al cambio del pannolino. Trovo sollievo nel prendere in mano la situazione, telefonare a mio padre, avvisare mio fratello che vada a dirlo a mia madre che soffre di depressione ed è meglio non venga lasciata sola dopo una simile notizia. A volte le ondate di dolore mi assalgono ma non mi permetto più di qualche lacrima, so che se mi lasciassi sopraffare da tutto quel dolore non ne uscirei più, è troppo tutto insieme, così mi tengo impegnata per dilazionarlo, quasi a voler soffrire a rate. (E' una cosa che continuerò a fare per mesi.) E poi, detesto piangere davanti ad altre persone, anche in questo momento.
Ho un vago ricordo delle ore seguenti. So che ad un certo punto decidiamo di salutare il piccolo e riconsegnarlo ai medici e ci facciamo venire a prendere (eravamo arrivati in treno). In auto non ci sono parole. Solo un lunghissimo silenzio. Io di mio non sono più in mezzo agli altri da ore, ancora galleggiante nella mia bolla di nulla. Arriviamo a casa degli zii che ci sono venuti a prendere e ci chiedono se vogliamo dormire da loro o dai miei suoceri per non rimanere soli.
Ma rimanere sola con mio marito è quello che desidero di più in assoluto.
Ci accompagnano a casa. Ci cambiamo, diamo da mangiare ai gatti e ci infiliamo sotto le coperte. Ci diciamo poche sillabe, parlare fa ancora troppo male. Ci mettiamo un po' ad addormentarci, abbracciati. La mattina quando ci svegliamo ci sembra di aver appena appoggiato la testa sul cuscino. Mi sento trasformata in un automa e so che mio marito si sente come me. L'aria pesante che ci attornia è la stessa della sera prima. Ancora poche parole, qualche abbraccio. La mia bolla non c'è più, sono presente, conscia di quello che dico e faccio. C'è il funerale da preparare, gente da avvisare. Mi sembra una manna avere così tante cose da fare. Mi mette un po' in crisi l'incontro con il parroco. Ha sempre avuto uno sguardo che reputavo inquietante, sembra davvero che scruti anche dietro le tue parole e quando parla con me, mi chiede come sto, quasi crollo.
Finite le incombenze passo la giornata a guardare la tv con i cuginetti, riesco persino a ridere e scherzare. Anche due giorni dopo, al funerale, quasi niente lacrime, solo un attimo durante la cerimonia e poi basta. La tristezza rischia di sopraffarmi per tutto il tempo ma finito tutto mi distraggo salutando le persone, chiacchiero, riesco persino a ridere.
Provo un odio irrefrenabile per chi prova a consolarmi dicendomi che adesso è un angioletto che veglia da lassù. Non sono mai stata molto credente e comunque non trovo alcun conforto nell'idea che mio figlio mi sia stato portato via per questo. Odio ancora di più chi mi dice "sei giovane, potrai avere altri figli" come se un figlio fosse un bambolotto che può essere sostituito. Come se un altro bambino potesse tappare il vuoto che lascia una perdita simile.
Pochi, solo quelli che mi conoscono, si accorgono che sto in piedi per miracolo.. molti mi guardano perplessi, forse alcuni mi giudicano insensibile. Chi se ne importa, è l'unico modo che conosco per non affogare. Piango solamente da sola o con mio marito. Mi mettono in crisi anche gli abbracci sinceri. Da sola so stare in piedi ma se qualcuno mi tocca sono perduta.
I giorni passano, passato il funerale tutti tornano alla normalità.
E anche io mi illudo di farlo. Mi ributto a capofitto nelle mie cose, riprendo il corso di tedesco, l'università.. per mesi mi riempio di impegni e sembra andare meglio. Piango ancora il mio dolore " a rate". Ancora troppo grande per essere affrontato.
Sembra andare meglio ma mi chedo se sia vero. Alla fine tanto fai e tanto briga, mi accorgo che all'università non ho combinato nulla, non ho dato esami, ho saltato un sacco di lezioni.
Ho un desiderio fortissimo di avere un altro bambino e mi accorgo che è egoista, non voglio un altro bambino, sento solo il bisogno di riempire il vuoto che Gioele ha lasciato. Sono arrabbiata perchè non ho fatto in tempo neppure ad avere il pancione. Sono arrabbiata perchè non posso andare a passeggio con il mio bambino come tante e tante volte ho sognato quando ero incinta, perchè tutti i progetti mi sono stati portati via.
Odio con tutta me stessa le donne che si lamentano di notti in bianco e cambi di pannolini! Non sanno quanto io vorrei poter passare le notti in bianco e cambiare migliaia di pannolini. Finisco per guardare con odio tutte le donne che incontro con il pancione. E mi domando se un giorno riuscirò a non stare così male pensando a lui.
Mi arrabbio perchè nessuno sembra ricordarselo, quando io che l'ho impresso a fuoco dentro. Ma come potrebbero, la maggior parte degli amici e dei parenti non lo ha neppure mai visto. Mi arrabbio perchè non mi parlano di lui. Lo fanno perchè hanno paura di farmi stare male. Io però sento il bisogno di parlarne per sentirlo ancora vicino.
I mesi passano, io stessa mi rendo conto delle mie contraddizioni, cerco di calmarmi e piano piano le cose migliorano. Il dolore non è scomparso, forse non scomparirà mai del tutto, ma si sta trasformando.
Invece di pensare alla notte orribile in cui se ne è andato penso ai piccoli meravigliosi momenti che con lui ho vissuto. Pochi e meravigliosi. Mi piace pensare alla forza che aveva, minuscolo contro le probabilità, alla intensa voglia di vivere che ha dimostrato.
Decido che il modo migliore per ricordare il mio piccolo leone sia quello di mettere nella mia vita lo stesso impegno che ci ha messo lui, la stessa grinta.
Penso a li ogni giorno, ma con sempre maggiore serenità, riesco a piangere senza trattenermi.. lentamente non ho più bisogno di arginare il dolore perchè ora riesco ad affrontarlo.
Con mio marito ci troviamo a parlare di lui ridendo e piangendo insieme.
Ogni tanto, la sera, mio marito mi abbraccia e mi sussurra un "manca anche a me".
Molti trovano conforto nell'idea che ci sia un piano divino per cose di questo genere, o semplicemente trovano in Dio qualcuno su cui riversare la rabbia e il dolore. Io invece ho trovato sollievo nel caso. Nell'idea che sono una statistica. Una di quei casi negativi che accadono per una serie di coincidenze. Non c'è un motivo, non è colpa mia ne di nessun altro. Sono cose che succedono e questa volta è successa a me. Lo trovo liberatorio.
Forse è un modo contorto di ragionare ma mi aiuta.
A settembre dell'anno dopo io e mio marito ci sposiamo in chiesa. Il parroco ricorda Gioele durante la predica.. lo fa con dolcezza e io trattengo a stento le lacrime ma ne sono felice, è una parte così importante della nostra vita che sarebbe stato ingiusto non ricordarlo in quel momento.
Dopo averne parlato tanto e averci pensato su ancora di più abbiamo deciso che era giunto il momento di provare ad avere un altro bambino. Ci siamo sentiti sereni. Non cercavamo un sostituto ma un fratellino o una sorellina per Gioele. Senza fretta. Semplicemente abbiamo smesso di usare protezioni.
Ora sono passati due anni. Abbiamo ripreso la nostra vita. Sono riuscita a laurearmi e mi sono buttata a capofitto nei progetti per il futuro.
Quando ho scoperto di essere di nuovo incinta era passato un anno esatto da quando avevamo deciso di riprovare.
Gioele mi manca ancora, ma pensarci e parlare di lui non mi fa soffrire più come prima. Di solito anzi mi fa sorridere. Il mio piccolo leone.
E oggi, per la prima volta, quì a tu per tu con me stessa sono riuscita a ripercorrere quei giorni e quei mesi a cui per tanto tempo non mi sono permessa di pensare se non in piccoli sprazzi.
Non dirò che non ho pianto come una fontana, anzi, sono fiera di averlo fatto. Come sono fiera di sorridere al suo ricordo.
Non ce l'avrei fatta senza il meraviglioso marito che ho, e senza la sua famiglia, che è diventata la mia e che mi è accanto anche ora.
Questa nuova gravidanza non mi è sicuramente possibile viverla con la stessa serenità che avevo quando è iniziata l'altra. Sarei una sciocca se non mi rendessi conto che c'è una piccola percentuale di possibilità che alcune complicazioni si manifestino ma.. non sono abbattuta per questo.
Se siete arrivate fin quì siete state coraggiose!
Spero di non essere stata troppo patetica solo.. era tanto tempo che desideravo raccontarla, un po' perchè mettere nero su bianco mi ha sempre aiutata, un po' perchè ho sentito la mancanza del confronto in quei mesi, e a volte la sento anche ora.
Confrontarsi con chi ha avuto esperienze simili, per quanto tristi credo possa aiutare.
Un bacio a tutte.
Sono mesi che penso di scrivere la mia storia.
Per me stessa inanzitutto. E per confrontarmi con altre donne come me.
Poi ho trovato questo forum e questa sezione e ho deciso di farlo.
E' molto lunga e triste e non vi biasimo se non vorrete leggerla...
La mia storia comincia bene.. casa comprata, matrimonio (civile) alle porte e un ritardo troppo lungo anche per il mio ciclo scombussolato.. i test in farmacia non segnalano nulla però... quindi, per tagliar la testa la toro, facciamo direttamente gli esami del sangue e... due giorni dopo il matrimonio POSITIVO! Siamo in 3!
Che perfezione!
La gravidanza procede a meraviglia, niente nausee, niente disturbi se non tanta tanta sonnolenza. Via la prima ecografia un minuscolo cuoricino che batte.. il tempo passa, si fanno progetti, sogni, tutto va alla perfezione, finito il primo trimestre.. arriva la ventesima settimana, la morfologica ci mostra un maschietto perfetto, sanissimo e già da un paio di settimane, forse di più lo sento dare calcetti e fare capriole. Il mondo ci sembra perfetto! Abbiamo anche trovato il nome! Gioele! Ci piace, deciso!
Il giorno che ho concluso la 23 settimana la mattina sono andata a fare gli esami del sangue, sono di buon umore, è una bella giornata e mi sento in forma, ancora la pancia non ne vuole sapere di farsi vedere ma pazienza, arriverà.. decido di fare una paseggiata fino a casa di mia madre che abita vicino all'ospedale e portarle le brioches per colazione.
Vado in bagno e ho gli slip macchiati di sangue. Non tantissimo ma sufficiente a farmi preoccupare seriamente. "Mamma, portami al pronto soccorso, quì qualcosa non va". Al pronto soccorso mi mandano sù in ostetricia e ginecologia.. a piedi. Allora io penso, beh, se mi fanno fare tutta quella strada a piedi magari non è così grave... e invece, appena il medico mi visita scopre una dilatazione di 3 centimetri. Io di mio, non sento alcun fastidio. Mi piazzano immediatamente in sala travaglio, con una flebo contro le contrazioni e mi fanno una puntura di bentelan per aiutare il bimbo a maturare i polmoni.. c'è il rischio che nasca ed è troppo troppo piccolo.
A Pordenone non sono attrezzati per bambini così prematuri, telefonano all'ospedale di Udine e appena si sono accertati che la dilatazione si è fermata mi trasferiscono con l'ambulanza.
A Udine rimango una settimana, non mi posso alzare dal letto neppure per andare al bagno. Mi imbottiscono di farmaci contro le contrazioni e di antibiotici per scongiurare le infezioni visto che la cervice è dilatata.
Dopo tre giorni comincio a sentire dei forti dolori concentrati nella zona pubica e sulla schiena, ne parlo ai medici e concludiamo che non sono contrazioni: non sento l'utero indurirsi e gli strumenti di monitoraggio non ne rilevano, inoltre non sono regolari. La conclusione è che sono dovuti al fatto che non posso muovermi dal letto. Però continuano. Gioele comunque sta bene, continua a fare capriole e a dare calcetti.
La sera del 28 novembre sto guardando un film al pc con la mia compagna di stanza, è quasi mezzanotte e i dolori si fanno sempre più intensi, insopportabili.
Chiamo l'ostetrica ma il monitoraggio ancora non rileva contrazioni però.. ogni volta che ho un dolore il battito del piccolo si allontana e dal grafico si vede chiaramente che succede ogni 5 minuti. Contrazioni!
Vengo portata immediatamente in sala travaglio, mentre le contrazioni aumentano di intensità e di numero.. sono ogni tre minuti.. poi continue. Travaglio inarrestabile. Via i farmaci tocolitici e vai di ossitocina, deve nascere il più velocemente possibile.
Mi si rompono le acque e ho cinque minuti di sollievo, mi portano in sala parto dove l'ostrica fa in tempo a dirmi che appena sento la prossima contrazione devo spingere che questa arriva.. e in un unica lunga spinta e con l'aiuto dell'episiotomia Gioele nasce. E' così piccolo che è stato più doloroso il taglio dell'episiotomia che il suo passaggio. Sono le 00.36. Io sono mamma e mio marito non è riuscito ad arrivare in tempo. Lo portano via subito, naturalmente non piange.
Io non sono molto cosciente di quello che sta succedendo, mi sento stordita dalla velocità delle cose e dalle luci della sala parto. Mi sento quasi galleggiare. Riesco a registrare l'odio che provo per il medico ( o lo specializzando?) che mi sta massaggiando la pancia che mi fa ancora male quando vorrei essere lasciata in pace. Qualcuno mi informa che Gioele è vivo. Ad un certo punto un'ostetrica entra con un fagottino in mano. "Questo è il tuo bambino." Sembra un bambolotto da quanto è piccolo, tutto infagottato e con il berrettino ma.. RESPIRA DA SOLO! Solo per questo ho potuto vederlo. Lo portano via immediatamente, deve essere affidato alla TIN al più presto... Nella mia testa rimane solo un pensiero: è vivo, respira. Non sono realmente cosciente della gravità della situazione. Arriva mio marito nel frattempo, lui potrà andarlo a vedere alla TIN, a me non è permesso fino al mattino dopo. Vengo portata in camera talmente sfinita che rimango immobile per mezz'ora buona. Poi mi sveglio e mi sento in gran forma.. quando mi danno il permesso di alzarmi per andare in bagno mi sento euforica. Grazie agli antidolorifici non sento il dolore dei punti e passo la notte a camminare su e giù per i corridoi, non mi sembra vero di potermi muovere. Sono ancora incosciente della gravità della situazione. Non riesco a stare ferma. Mi dicono che l'euforia è data dagli improvvisi sbalzi ormonali dopo il parto ma che dovrei riposare. Ma chi ci riesce! Quella notte non dormo. E finalmente la mattina armata di coperta e sedia a rotelle mi posso finalmente far accompagnare alla TIN. Gioele è lì, minuscolo dentro all'incubatrice. Pesa 600 grammi e il calo fisiologico per lui sarà un ardua prova. E' lungo 32 cm. Non sono la miriade di tubi attaccati al suo corpo a spaventarmi. So che sono li per aiutarlo a sopravvivere. Gli hanno comunque messo il respiaratore perchè lui no debba sforzarsi troppo, ma i polmoni, per quanto prematuri, per ora promettono bene. A distruggerci è l'incontro con la neonatologa. Le possibilità di sopravvivenza nei nati così prematuri sono del 50%. Non potranno fare pronostici sul futuro prima di un mese ma ci avvisano: ha un emorragia cerebrale, comunissima nei prematuri, al momento non è pericolosa, ma solo il tempo dirà se si riassorbirà o se aumenterà causando problemi anche gravi. Il cuore è forte, ma alcune arterie non sono ancora ben formate, anche questo è "normale". L'intestino, l'intestino ancora non ha funzionato, e se non lo farà presto saranno guai grossi. In più c'è la possibilità, nei prematuri che vada in necrosi e debba quindi subire un intervento. Oltre a tutto ciò, sono chiari, se sopravvive, c'è comunque la possibilità che abbia dei problemi per tutta la vita. Annientati. E' così che ci sentiamo. La dottoressa è stata molto gentile e ha avuto molto tatto ma la realtà dei fatti no cambia. La situazione è gravissima. Gioele però, nei giorni successivi si dimostra singolarmente forte. Infermiere e dottoresse lo definiscono un leone. Il respiratore ormai è solo un ausilio, non ci sono infezioni in atto, e l'intestino ha funzionato. Fa la pipì regolarmente. Ci azzardiamo a sperare. Nel frattempo io sono stata dimessa e ora passiamo le giornate in sua funzione. Passiamo il pomeriggio con lui, a guardarlo da dietro il vetro. Si muove, a volte sgambetta arrabbiato quand olo cambiano. Ci mettiamo qualche giorno a trovare il coraggio di toccarlo come ci hanno spiegato i medici, per paura di fargli male. Sappiamo che sarà una cosa lunga, che ci vorranno mesi prima di poterlo tenere in braccio e poi poterlo portare a casa con noi ma stiamo sperando.
Un giorno però arriviamo e la dottoressa no è rilassata come al solito. Uno dei presagi peggiori si è avverato. L'intestino è andato in necrosi. Ci chiedono l'autorizzazione a trasferirlo all'ospedale di Treviso, dove sono maggiormente specilaizzati in interventi intestinali su bimbi prematuri. E' un momento critico, già il trasferimento sarà uno stress non indifferente per lui e se ce la farà, non è detto che sia abbastanza stabile per affrontare l'intervento o che riesca a superarlo.
Sono ore di terrore, quando arriviamo a Treviso lui è appena arrivato. E' stato stabile per tutto il viaggio il mio leone. Il medico lo visita e lo ritiene abbastanza forte per l'intervento. I rischi non cambiano. Non so quanto tempo abbiamo aspettato in sala d'attesa con l'angoscia ma poi lo hanno riportato indietro, vivo. Il medico ci dice che è stato stabile tutto il tempo, il cuore non ha mai smesso di battere e non è mai servito rianimarlo. Gioia ma... ha dovuto asportare quasi completamente l'intestino, era rimasto poco o nulla da salvare. Ora ha un piccolo catetere poco sotto lo stomaco. Per ora non c'è altro da fare, dovrà subire diversi altri interventi nei mesi successivi per ripristinare le funzionalità intestinali.
Passa giorni completamente sedato. E' angosciante vederlo immobile. Ma sembra vada abbastanza bene, per quanto possa andar bene una situazione così critica.
I giorni passano, il peso continua a salire e scendere ma dopo un po' lo svegliano ma lo mettono in una sorta di ciabattina perchè non si muova troppo sia per via dei punti che perchè non si affatichi troppo.
A volte sembra riconoscere la nostra voce e stringe le nostre dita con le manine.. sappiamo che è un riflesso inconscio ma ci da una gioia che non credevamo possibile provare.
Intorno al 15 dicembre qualcosa comincia ad andare storto.. i polmoni che fino a quel momento si erano comportati egregiamente per un prematuro così grave cominciano a dare segno di stanchezza e i medici sono costretti a portare il respiratore al massimo. Per ora però ci dicono solo che non possono fare previsioni. Quando sabato 18 arriviamo in ospedale ci accorgiamo da soli che le cose non vanno bene... il respiratore è al massimo ma sui monitor, che ormai abbiamo imparato a leggere, l'ossigenazione è in diminuzione e l'allarme scatta in continuazione e anche il battito che era sempre stato stabile ha dei cali. Le infermiere vengono a controllare ma fanno poco o nulla, a volte lo stimolano con carezze su mani e piedi e si riprende un po', qualche volta premono qualche bottone finchè l'allarme si spegne ma non dura molto.
Un'infermiera si avvicina e con tono petulante si avvicina e comincia a parlare di Gioele al passato, fingendo che a parlare sia lui "sono stato tanto bravo fino ad ora, ma sono tanto stanco.." e cose del genere. Non ho il coraggio di risponderle e sento il bisogno di uscire per sfogare l'attacco di rabbia che si trasforma subito in pianto. Fuori ci sono i miei suoceri, sono venuti con noi nonstante non possano vederlo se non a più di dieci metri attraverso 3 vetrate. Mia suocera è come una madre per me e riesce a calmarmi.
Quando rientro un medico ci chiama in disparte per aggiornarci. E' dalla notte precedente che Giole ha queste crisi.. i polmoni sono deboli e il cuore si stanca, inoltre l'intervento è stato un grosso stress. Ci dice che questo tipo di crisi sono molto comuni e che potrebbero anche passare ma ci chiede di rimanere e tra le righe capiamo che stanno anche preventivando che non ce la faccia.
Accusiamo il colpo senza apparenti conseguenze.. infondo non è ancora detto.. e la speranza non ci ha abbandonato.
Torniamo da Gioele e l'orribile infermiera ci ronza ancora intorno, con la sua voce petulante ci chiede più volte se vogliamo chiamare il parroco perchè lo battezzi.
Ad un certo punto mi spazientisco e le rispondo che verrà batezzato quando tornerà a casa con noi, e che se non dovesse farcela non credo che nostro Signore sia così terribile da non volerlo con se solo perchè non gli è stata spruzzata dell'acqua in testa. Riesco così a liberarmi per un po' di quella maledetta.
Non so quanto tempo passa. Passiamo il tempo a guardare il monitor. Sfioro appena Gioele con le mani per non stimolarlo troppo, giusto che senta che la mamma è li. I valori dell'ossigeno e il battito continuano a scendere e risalire ma sempre con maggior fatica. Mi ritrovo a ripetere "ti prego, ti prego, ti prego" all'infinito con gli occhi puntati su quel monitor maledetto.
Due infermiere, compresa la malefica, e il medico ci raggiungono. All'ennesimo scendere dei valori mi sono resa conto di quello che sta succedendo ma ho bisogno di sentirmelo dire.. mi giro verso il medico che con dolcezza ci dice "questo bambino non ha più risorse".
Mi accascio sulla sedia, non ricordo se ho pianto. Combatto un attimo con il desiderio di dirgli che faccia qualcosa ma so benissimo che sarebbe un accanirsi inutile, se ne era già parlato prima. Hanno spento gli allarmi del monitor e c'è quasi silenzio nella Tin nonostante ci siano altri cinque o sei bambini. La maledetta infermiera comincia blaterare con il suo solito tono e la zittisco malamente. Dopo due anni la odio ancora. Spero di non trovarmela mai più davanti.
Il medico gli stacca il respiratore, mi assicura che non sta soffrendo e mi dice che il suo cuore batte ancora, mi chiede se voglio prenderlo in braccio per salutarlo ora che è libero da tutti quei tubi ma non ci riesco.
In quel momento penso che se solo qualcuno mi sfiora potrei esplodere in mille piccoli pezzi come un bicchiere caduto a terra. Mio marito è li accanto a me.. è l'unico a cui mi appoggio, con lui non serve parlare.
Gioele se ne è andato. Mi sento come se galleggiassi in una bolla e dentro nulla, solo il vuoto intervallato da ondate di dolore così lancinanti che le caccio via appena le sento arrivare. Credo di aver pianto davvero poco. Ci danno tutto il tempo che vogliamo ma noi sentiamo il bisogno di uscire da li. Usciti diamo la notizia ai miei suoceri, altro breve pianto, abbracci e vuoto. Ci accompagnano in una stanza dove possiamo stare tranquilli e poco dopo ci portano Gioele in una carrozzina in cui il suo corpicino si perde, avvolto in una copertina e per la prima volta senza tubi, senza cerotti... Mi sento un po' in colpa perchè non riesco a rimanere in quella stanza a lungo ma non riesco ad accettare che sia lui. Lui è quello che mi dava i calci, quello che sgambettava nell'incubatrice, che sbadigliava e che si arrabbiava al cambio del pannolino. Trovo sollievo nel prendere in mano la situazione, telefonare a mio padre, avvisare mio fratello che vada a dirlo a mia madre che soffre di depressione ed è meglio non venga lasciata sola dopo una simile notizia. A volte le ondate di dolore mi assalgono ma non mi permetto più di qualche lacrima, so che se mi lasciassi sopraffare da tutto quel dolore non ne uscirei più, è troppo tutto insieme, così mi tengo impegnata per dilazionarlo, quasi a voler soffrire a rate. (E' una cosa che continuerò a fare per mesi.) E poi, detesto piangere davanti ad altre persone, anche in questo momento.
Ho un vago ricordo delle ore seguenti. So che ad un certo punto decidiamo di salutare il piccolo e riconsegnarlo ai medici e ci facciamo venire a prendere (eravamo arrivati in treno). In auto non ci sono parole. Solo un lunghissimo silenzio. Io di mio non sono più in mezzo agli altri da ore, ancora galleggiante nella mia bolla di nulla. Arriviamo a casa degli zii che ci sono venuti a prendere e ci chiedono se vogliamo dormire da loro o dai miei suoceri per non rimanere soli.
Ma rimanere sola con mio marito è quello che desidero di più in assoluto.
Ci accompagnano a casa. Ci cambiamo, diamo da mangiare ai gatti e ci infiliamo sotto le coperte. Ci diciamo poche sillabe, parlare fa ancora troppo male. Ci mettiamo un po' ad addormentarci, abbracciati. La mattina quando ci svegliamo ci sembra di aver appena appoggiato la testa sul cuscino. Mi sento trasformata in un automa e so che mio marito si sente come me. L'aria pesante che ci attornia è la stessa della sera prima. Ancora poche parole, qualche abbraccio. La mia bolla non c'è più, sono presente, conscia di quello che dico e faccio. C'è il funerale da preparare, gente da avvisare. Mi sembra una manna avere così tante cose da fare. Mi mette un po' in crisi l'incontro con il parroco. Ha sempre avuto uno sguardo che reputavo inquietante, sembra davvero che scruti anche dietro le tue parole e quando parla con me, mi chiede come sto, quasi crollo.
Finite le incombenze passo la giornata a guardare la tv con i cuginetti, riesco persino a ridere e scherzare. Anche due giorni dopo, al funerale, quasi niente lacrime, solo un attimo durante la cerimonia e poi basta. La tristezza rischia di sopraffarmi per tutto il tempo ma finito tutto mi distraggo salutando le persone, chiacchiero, riesco persino a ridere.
Provo un odio irrefrenabile per chi prova a consolarmi dicendomi che adesso è un angioletto che veglia da lassù. Non sono mai stata molto credente e comunque non trovo alcun conforto nell'idea che mio figlio mi sia stato portato via per questo. Odio ancora di più chi mi dice "sei giovane, potrai avere altri figli" come se un figlio fosse un bambolotto che può essere sostituito. Come se un altro bambino potesse tappare il vuoto che lascia una perdita simile.
Pochi, solo quelli che mi conoscono, si accorgono che sto in piedi per miracolo.. molti mi guardano perplessi, forse alcuni mi giudicano insensibile. Chi se ne importa, è l'unico modo che conosco per non affogare. Piango solamente da sola o con mio marito. Mi mettono in crisi anche gli abbracci sinceri. Da sola so stare in piedi ma se qualcuno mi tocca sono perduta.
I giorni passano, passato il funerale tutti tornano alla normalità.
E anche io mi illudo di farlo. Mi ributto a capofitto nelle mie cose, riprendo il corso di tedesco, l'università.. per mesi mi riempio di impegni e sembra andare meglio. Piango ancora il mio dolore " a rate". Ancora troppo grande per essere affrontato.
Sembra andare meglio ma mi chedo se sia vero. Alla fine tanto fai e tanto briga, mi accorgo che all'università non ho combinato nulla, non ho dato esami, ho saltato un sacco di lezioni.
Ho un desiderio fortissimo di avere un altro bambino e mi accorgo che è egoista, non voglio un altro bambino, sento solo il bisogno di riempire il vuoto che Gioele ha lasciato. Sono arrabbiata perchè non ho fatto in tempo neppure ad avere il pancione. Sono arrabbiata perchè non posso andare a passeggio con il mio bambino come tante e tante volte ho sognato quando ero incinta, perchè tutti i progetti mi sono stati portati via.
Odio con tutta me stessa le donne che si lamentano di notti in bianco e cambi di pannolini! Non sanno quanto io vorrei poter passare le notti in bianco e cambiare migliaia di pannolini. Finisco per guardare con odio tutte le donne che incontro con il pancione. E mi domando se un giorno riuscirò a non stare così male pensando a lui.
Mi arrabbio perchè nessuno sembra ricordarselo, quando io che l'ho impresso a fuoco dentro. Ma come potrebbero, la maggior parte degli amici e dei parenti non lo ha neppure mai visto. Mi arrabbio perchè non mi parlano di lui. Lo fanno perchè hanno paura di farmi stare male. Io però sento il bisogno di parlarne per sentirlo ancora vicino.
I mesi passano, io stessa mi rendo conto delle mie contraddizioni, cerco di calmarmi e piano piano le cose migliorano. Il dolore non è scomparso, forse non scomparirà mai del tutto, ma si sta trasformando.
Invece di pensare alla notte orribile in cui se ne è andato penso ai piccoli meravigliosi momenti che con lui ho vissuto. Pochi e meravigliosi. Mi piace pensare alla forza che aveva, minuscolo contro le probabilità, alla intensa voglia di vivere che ha dimostrato.
Decido che il modo migliore per ricordare il mio piccolo leone sia quello di mettere nella mia vita lo stesso impegno che ci ha messo lui, la stessa grinta.
Penso a li ogni giorno, ma con sempre maggiore serenità, riesco a piangere senza trattenermi.. lentamente non ho più bisogno di arginare il dolore perchè ora riesco ad affrontarlo.
Con mio marito ci troviamo a parlare di lui ridendo e piangendo insieme.
Ogni tanto, la sera, mio marito mi abbraccia e mi sussurra un "manca anche a me".
Molti trovano conforto nell'idea che ci sia un piano divino per cose di questo genere, o semplicemente trovano in Dio qualcuno su cui riversare la rabbia e il dolore. Io invece ho trovato sollievo nel caso. Nell'idea che sono una statistica. Una di quei casi negativi che accadono per una serie di coincidenze. Non c'è un motivo, non è colpa mia ne di nessun altro. Sono cose che succedono e questa volta è successa a me. Lo trovo liberatorio.
Forse è un modo contorto di ragionare ma mi aiuta.
A settembre dell'anno dopo io e mio marito ci sposiamo in chiesa. Il parroco ricorda Gioele durante la predica.. lo fa con dolcezza e io trattengo a stento le lacrime ma ne sono felice, è una parte così importante della nostra vita che sarebbe stato ingiusto non ricordarlo in quel momento.
Dopo averne parlato tanto e averci pensato su ancora di più abbiamo deciso che era giunto il momento di provare ad avere un altro bambino. Ci siamo sentiti sereni. Non cercavamo un sostituto ma un fratellino o una sorellina per Gioele. Senza fretta. Semplicemente abbiamo smesso di usare protezioni.
Ora sono passati due anni. Abbiamo ripreso la nostra vita. Sono riuscita a laurearmi e mi sono buttata a capofitto nei progetti per il futuro.
Quando ho scoperto di essere di nuovo incinta era passato un anno esatto da quando avevamo deciso di riprovare.
Gioele mi manca ancora, ma pensarci e parlare di lui non mi fa soffrire più come prima. Di solito anzi mi fa sorridere. Il mio piccolo leone.
E oggi, per la prima volta, quì a tu per tu con me stessa sono riuscita a ripercorrere quei giorni e quei mesi a cui per tanto tempo non mi sono permessa di pensare se non in piccoli sprazzi.
Non dirò che non ho pianto come una fontana, anzi, sono fiera di averlo fatto. Come sono fiera di sorridere al suo ricordo.
Non ce l'avrei fatta senza il meraviglioso marito che ho, e senza la sua famiglia, che è diventata la mia e che mi è accanto anche ora.
Questa nuova gravidanza non mi è sicuramente possibile viverla con la stessa serenità che avevo quando è iniziata l'altra. Sarei una sciocca se non mi rendessi conto che c'è una piccola percentuale di possibilità che alcune complicazioni si manifestino ma.. non sono abbattuta per questo.
Se siete arrivate fin quì siete state coraggiose!
Spero di non essere stata troppo patetica solo.. era tanto tempo che desideravo raccontarla, un po' perchè mettere nero su bianco mi ha sempre aiutata, un po' perchè ho sentito la mancanza del confronto in quei mesi, e a volte la sento anche ora.
Confrontarsi con chi ha avuto esperienze simili, per quanto tristi credo possa aiutare.
Un bacio a tutte.