Nel pomeriggio le solite contrazioni sono aumentate di frequenza e di intensità, verso le 19:00 sono veramente troppe: almeno una ventina nell’ultima ora… Telefono al gine, che mi dice di mettermi due supposte di buscopan e aspettare un’oretta per vedere se fanno effetto. Chiamo il socio per chiedergli di passare in farmacia tornando dall’ufficio, lui sbuffa, “ma insomma sei sicura di averne proprio bisogno???”


Arriviamo al PS mi visitano, il collo è raccorciato al 50% (che vuol dire??? AIUTO NON HO ANCORA FATTO IL CORSO PRE PARTO!!!) mi mandano in sala travaglio a fare un monitoraggio. Lì trovo una signora che ha rotto le acque la mattina, è al secondo figlio e non ha contrazioni; mi attaccano al monitoraggio, entra un’ostetrica che si rivolge alla mia vicina e dice “che bel travaglio avanzato! Signora ci siamo, vedrà che tra poco nasce” No, quello è il MIO tracciato, e io NON DEVO partorire, non ancora, E’ TROPPO PRESTO!
Entra una ginecologa sulla cinquantina che sembra una passeggiatrice pronta ad andare al lavoro: truccatissima, tacco 12 e minigonna inguinale. Mi ispira zero fiducia. Guarda la cartella clinica, guarda il monitoraggio e mi dice che mi manderanno con un’ambulanza per farmi partorire in un ospedale che abbia la terapia intensiva neonatale, perché lì non c’è e mia figlia ne avrà bisogno; “Vado a fare un giro di telefonate per vedere dove c’è posto”. Io sono nel panico più totale, so cosa vuol dire nascere di 34 settimane, mio cugino è nato di 34 settimane e solo noi sappiamo quello che abbiamo passato. A quel punto realizzo che è nato proprio il 7 di aprile, e anche lui era previsto per il 18.05… Mi telefona mia zia, cerca di tranquillizzarmi, ma anche lei ha paura, LEI SA quello che sto passando e la paura che ho, ma a me per fortuna hanno già fatto il bentelan, che accelera la maturità polmonare, cosa che a lei non avevano fatto.
Rientra la gine con un altro tizio, mi infilano una flebo in un braccio, una flebo nell’altro, un tampone nel didietro, nel frattempo la passeggiatrice parla, parla, parla, cerco di non ascoltarla, ma mi sta dicendo che non c’è posto in nessun ospedale con la TIN, il tizio è l’anestesista che mi sta preparando per il cesareo e che poi manderanno la mia piccola al Bambin Gesù. A quel punto se ne va. Io sono sola, mio marito è fuori, non lo fanno stare a lungo perché non sono sola in camera, la tizia accanto a me comincia ad avere qualche contrazione, e io comincio a piangere. La z@@@a rientra e candidamente domanda:”Signora! Perché sta piangendo?????”

Intanto è passata la mezzanotte, parlo con il mio gine che mi dice di stare tranquilla, che mia figlia non nascerà adesso, poi parla con la passeggiatrice.
Continuano a mettermi una flebo dopo l’altra, non parlano più di cesareo, né di terapia intensiva, le contrazioni si sono un po’ calmate, e la situazione sembra essere più tranquilla. Dico al socio che per stanotte non nascerà (almeno è quello che spero), di tornare a casa; io cerco di riposare un po’ mentre per la tizia accanto a me cominciano le danze. Io comincio a pensare che non sono pronta, che niente è pronto, non ho la culla, la carrozzina non è ancora arrivata… Oddio dove metterò il mio fagottino??? Aspetta piccola, aspetta perché la tua sciagurata mamma non ha ancora preparato il nido. Quando trasferiscono la mia compagna di stanza in sala parto guardo fuori, è l’alba, c’è la brina, ma la giornata sembra essere bella, spero che sia di buon auspicio. Decidono che per me non c’è più pericolo di un parto imminente, quindi mi trasferiscono nella mia camera nel reparto solventi (santa assicurazione medica!!!). E’ una bella camera ampia, piena di luce, con tutti i comfort: telefono, televisione… Per fortuna, perché resterò lì fino alla nascita di mia figlia, e spero che sia il più tardi possibile, ma DEVO arrivare almeno alle 36 settimane.
Ho sempre la flebo di vasosuprina, se non la sostituiscono appena finisce cominciano le contrazioni, se mi alzo per fare pipì cominciano le contrazioni… i giorni seguenti sono stati piuttosto duri: non mi alzo dal letto né per mangiare né per andare in bagno, faccio un numero spropositato di monitoraggi per controllare le contrazioni, ma anche lo stato di salute della piccola, ecografie per controllare l’accrescimento, flussimetrie… ma mi sono scoperta una forza e una pazienza che solo mia figlia mi poteva dare.
Il 17 di aprile faccio l’ennesima ecografia, la piccola è sempre piccola, non ha preso un grammo né un centimetro da quando sono ricoverata, non ho quasi puù liquido, la placenta è invecchiata e io sono alla 36ma settimana. Decidono di staccare la flebo e quello che succede succede, ormai non c’è più pericolo, ho fatto il bentelan e a 36 settimane la gravidanza è considerata a termine. Per fortuna nel frattempo a casa sono arrivate la carrozzina e la culla, se non altro so dove mettere la piccola, insomma, siamo pronti. E invece non succede nulla. Staccata la flebo partono le contrazioni, ma con un po’ di buscopan passano, vuol dire che non è il travaglio. Aspettiamo e vediamo che succede; se non succede niente, domani mi mettono il gel, da che dovevo portare avanti il più possibile la gravidanza, siamo arrivati al punto che andare ancora avanti è inutile e forse anche dannoso. Il gine mette un’unica condizione: appena parte il travaglio mi devo far mettere il catetere dell’epidurale (io ne avevo il terrore), perché, viste le difficoltà della gravidanza c’è la possibilità che la piccola vada in sofferenza e ci sia la necessità di ricorrere ad un cesareo d’urgenza, almeno c’è già il catetere e non bisogna metterlo di fretta con le contrazioni forti e tutto il resto.
Il 18 aprile 2003, una mattinata splendida, è il venerdì di Pasqua. Alle nove mi mettono il gel, parte immediatamente il travaglio, dico a mio marito di raggiungerci. Dopo qualche tempo mi portano in sala travaglio per mettermi il catetere dell’epidurale. Le contrazioni arrivano, io mi rilasso, respiro e loro passano. Sono costantemente attaccata al monitoraggio per controllare come sta Livia, passa l’anestesista e mi chiede se voglio un po’ di analgesia, rispondo che no, non ce n’è bisogno, sto bene “Ma non è possibile!! Hai tutte le contrazioni talmente alte che sono fuori scala!!” Ma io non sento male, lasciatemi in pace, lasciatemi godere il mio travaglio. Passa il gine, mi visita, dilatazione zero. “Ora ci penso io, ti do una bella “smucinata” così acceleriamo le cose” e inizia a scollarmi le membrane manualmente

Non so quanto tempo sia passato, sono rivestita, in un corridoio, ho mio marito accanto che mi accarezza la fronte, ma io sto urlando: “Mi avete portato via la mia bambina!!! Perché??? Sta male??? Dov’è la mia bambina??????” Il socio cerca di tranquillizzarmi, sta benissimo, dice, l’hai vista, l’hai anche baciata su un occhio, è al nido… NON E’ VEROOO!!! FATEMI VEDERE LA MIA BAMBINA!!!! Ho un braccialetto diverso da quello che mi hanno messo quando sono entrata in sala operatoria, perché? E SE ME L’HANNO SCAMBIATA?????
L’ostetrica corre al nido, me la porta e me la mette tra le braccia. “Come mi somiglia!” E’ il mio primo pensiero. No, non me l’hanno scambiata, è lei, sono io.