La storia di una mamma che si credeva invincibile e si è scoperta fragile, che si credeva infallibile e invece ha fallito.
La storia di una mamma che voleva arrendersi ma non l'ha fatto...e alla fine ha vinto!
E' la storia di Gabriele, arrivato nella mia pancia dopo tre aborti, millemila esami, litri di lacrime versate e altrettante da tirar fuori in caso di necessità.
Gabriele: inesorabilmente maschio, nonostante le mie pressanti richieste di caduta del pisello

Gabriele: un traguardo che non credevo di raggiungere. La mia speranza, la mia rivincita!
E' la storia di Arianna, che voleva un fratellino a tutti i costi, e quando la mamma, tra le lacrime, le ha annunciato che finalmente era arrivato nella pancia, tra le lacrime ha risposto: "grazie, mamma!"

Arianna, così impaziente di conoscerlo che alla fine non faceva che ripetergli: "dai fratellino, fai uno sforzo e rompi le acque".
E un bel giorno il fratellino l'ha ascoltata!
E' il 20 novembre 2012, sono a 38+3 ma lì sotto è tutto chiuso, o almeno così sostiene il ginecologo che mi ha visitata il giorno prima.
La giornata è stata movimentata come al solito, un'amichetta di Arianna è appena andata via e la sua stanza sembra un campo di battaglia, dobbiamo sistemare velocemente e prepararci per andare a cena dalla suocera che festeggia il compleanno.
Da 1 a 10 mi scoccia 6000

Vabbè, vado in bagno ma dopo un attimo mi accorgo che c'è qualcosa di strano: una perditina, all'inizio minima ma cmq sospetta.
Aspetto un pò, mi alzo dal water...aridaje, altra perditina

Aspetto un altro pò, mi rialzo e stavolta non è più tanto -ina.
Esattamente come quasi 5 anni prima, penso: “Cazz@ le acque!”.
E subito dopo: “oh, sono sempre la solita esagerata: per non andare dalla suocera non bastava inventarsi un mal di testa??? No, io addirittura dovevo rompere le acque”

A quel punto chiamo mia figlia: "Ary, ti devo dire una cosa?", "che c'è mamma?", "il fratellino ti ha ascoltato e ha rotto le acque", "davvero mamma? davvero???", "si, amore, davvero".
E la mia favolosa bambina, in tutta la serietà dei suoi quasi 5 anni, si mette sull'attenti e dichiara: "agli ordini mamma, dimmi cosa devo fare"

E' l'immagine che mi accompagnerà per tutta la notte e che ancora, se ci penso, mi fa scendere una lacrima.
Chiamo mio marito, che era a mezz'ora di strada, ma decido di non avvisare ancora i nonni perchè voglio godermi questi ultimi attimi sola con mia figlia: non voglio lasciarla, ho temuto questo momento per tutta la gravidanza...
Insieme prepariamo le ultime cose per me e la sua valigetta per il soggiorno dai nonni, indossiamo i braccialetti uguali che avevamo comprato per l'occasione e ci facciamo a vicenda un sacco di raccomandazioni.
Poi arrivano il papà e i nonni e tutti mi dicono di sbrigarmi, che le acque si sono rotte da più di un'ora e lungo la strada potremmo trovare nebbia, che devo andare, devo andare, devo andare...
Li sento come un brusio di sottofondo, vorrei che se ne andassero e mi lasciassero in pace con mia figlia: l'abbraccio, la bacio mille volte, piango come una stupida cercando di non farmi vedere.
Lei è sorprendente, come al solito, si vede che è agitata ma rassicura me, e solo alla fine, sulla soglia di casa, mi sussurra: "mi mancherai, mamma", "anche tu, amore, non immagini quanto. Ma ci vediamo domani, te lo prometto".
Vado via come divisa in due: una parte del mio cuore è rimasta a casa, l'altra sto andando a prenderla, ma in quel momento ancora non lo sapevo.
Arriviamo in H verso le 22.30: visita, controlli di routine, mezzo litro di sangue, grassssie

Verdetto: dilatazione 1 cm ma nessun sentore di travaglio imminente, però il sacco è rotto quindi mi tocca restare. Vinco anche tre quarti d'ora di monitoraggio, assistita da un'ostetrica, seccatissima perchè le stavo facendo perdere il finale di non so cosa in tv, che alla fine mi comunica che le contrazioni sono irrilevanti e che devo mettermi a letto e non passeggiare.
Ok, mando a casa il marito, vado in camera, indosso la mia uniforme da perfetta partoriente, e poi - in preda ai morsi della fame - mi metto a passeggiare per i corridoi alla ricerca di un distributore automatico.
Alla faccia sua

Rimedio uno schifido cornetto e un pacchettino di wafer, torno in camera e, dopo questa cena luculliana, tento di dormire.
Il progetto, però, è destinato a naufragare miseramente: la mia vicina di letto russa come un trattore.
E sosteneva di essere in travaglio!
Passo le successive due ore a fare la spola tra il letto e il bagno, avevo qualche dolorino sporadico ma niente di che.
Verso le due mi accorgo che le acque sono diventate un po’ torbide e, memore dell’esperienza del parto precedente (acque verde palude), decido di andare a fare un giretto nell’area nascita.
Trovo la stessa ostetrica di prima (che stavolta lavorava a maglia) e vinco un’altra mezz’oretta di monitoraggio e una visita: contrazioni irregolari e cmq molto lievi, lì sotto è tutto invariato.
“Signora deve rimettersi a letto e tornare qui solo quando ha contrazioni ogni 3 minuti e della durata di almeno 1 minuto”. Praticamente devo darle il tempo di finire la sciarpa!
Torno in camera un po’ demoralizzata, ho rotto le acque da oltre 6 ore e qui non si smuove niente, quanto ci metterò a partorire?
E penso ad Arianna, che dorme dai nonni e aspetta una mia telefonata, ad Arianna che domani mattina andrà all’asilo senza di me… è la prima volta in quasi tre anni.
Dalla finestra della mia stanza vedo le montagne e, in lontananza, un paesino illuminato, a un certo punto è come se sentissi la sua voce: “guarda mamma, sembra il paese di Rapunzel”.
E di nuovo piango come una stupida: voglio sbrigarmi, voglio partorire, voglio chiamare mia figlia e dirle che può venire a conoscere il fratellino, voglio mandare affankiul quell’ostetrica idiota prima della fine del turno

E mentre faccio questi progetti grandiosi mi accorgo che l’intensità dei dolori è leggermente aumentata, nell’ora successiva diventano abbastanza frequenti, quindi - cellulare alla mano - comincio a prendere i tempi: 3 minuti, 5 minuti, 4 minuti, 2 minuti, però durano poco (30-40 secondi), quindi, mi dico, non sono ancora quelli giusti.
Arrivata alle cinque ho contrazioni regolari ogni 3 minuti della durata di 1 minuto, alcune belle toste, altre meno, ma cmq resisto tranquillamente,
Resto a letto fino alle 6.30, poi esco in corridoio, chiamo il socio (che mi risponde al 15esimo squillo, immaginate com’era agitato al pensiero della moglie in travaglio e della nascita imminente

Decido di avviarmi verso l’area nascita ma poi ci ripenso, non voglio dare a quell’acida la soddisfazione di dirmi ancora: ”signora è tutto fermo”, quindi torno a letto per altri 10 minuti, dopo di che - visto che i dolori erano sopportabili ma cmq fortini – decido di andare a reclamare il mitico anestesista.
Lungo il tragitto sono costretta a fermarmi tre volte per le contrazioni e dentro di me sogghigno e penso: “adesso voglio vedere se la stronz@ osa dire che sono irrilevanti”.
Finalmente arrivo e, ovviamente, trovo lei

Con un sorrisetto malefico, le dico: “ho contrazioni regolari dalle 5, gentilmente potrebbe visitarmi prima di attaccarmi mezz’ora al monitoraggio? Perché secondo me possiamo chiamare l’anestesista”, “uuhh signora, lei è proprio fissata con st’anestesista, ma cmq prima dobbiamo fare il monitoraggio”.
Ok, mi sdraio sul lettino e mi attaccano a quel malefico aggeggio.
Guardo l’orologio: sono le 6.45.
Nel quarto d’ora successivo si scatena l’inferno, le contrazioni si fanno fortissime, ma io non riesco a stare ferma quindi il tracciato non le rileva.
Sono sola in quella stanza e nessuno mi calcola neanche di striscio.
In un attimo di lucidità chiamo mio marito e gli chiedo: “dove sei?”, “al bar qui sotto a prenderti il cornetto, come lo vuoi?”, “ma quale cornetto che sto schiattando, vieni subitooooooo”.
Nel frattempo tentavo di intercettare chiunque passasse davanti alla mia porta: “per favore visitatemi e chiamate l’anestesista”, “no signora, ormai la visiteranno le colleghe del prossimo turno”, “ok, fate entrare mio marito”, “signora ma non sappiamo neppure se è in travaglio, qui il tracciato non segna niente”, “guardi le assicuro che sono in travaglio, faccia entrare mio marito”.
Sono le 7 e all’improvviso sento il bisogno di spingere (sensazione per me del tutto nuova perché con Arianna non l’avevo avvertita), a quel punto vado un po’ in panico e urlo: “scusate, c’è qualcuno qui fuori? Io devo spingereeee”.
Alla terza volta che lo dicevo arriva lei, la solita stronz@.
Le ribadisco, con tutta la calma possibile dato il momento, che ho dolori fortissimi, mi viene da spingere e che deve chiamare l’anestesista, visitarmi e far entrare mio marito.
Rigorosamente in quest’ordine, grazie

Sbuffando, replica: “signora prima di far entrare suo marito dobbiamo vedere se è in travaglio”.
Mette una mano dentro e fa: “oddio ma lei è completa, qui c’è già la testa”…carramba, che sorpresa!
Io, ormai in preda al delirio, continuavo a ripetere: “chiamate l’anestesistaaaaaaaa”.
Tempo 30 secondi e nella stanza si materializzano medici, infermieri, ostetriche e…mio marito!
Si, ma dov’è l’anestesista? “Signora, ma quale anestesista, qui deve solo spingere”, “no, con la mia prima figlia ho spinto 2 ore, non ce la faccio, chiamate l’anestesistaaaaaaaa”.
Intanto mio marito si era messo accanto al lettino e gli stavo stritolando la mano.
Guardo l’orologio, sono le 7.10, e penso: “se faccio in fretta riesco a chiamare Arianna prima che vada all’asilo”.
Sento fortissimo il bisogno di spingere e il mio corpo praticamente lo asseconda da sé, un attimo di dolore allucinante e mio marito mi grida: “è nato, eccolo…è nato”.
Apro gli occhi e, come quasi 5 anni prima, vedo due gambette sul fondo del lettino.
E come allora non riesco a crederci.
Chiedo, nell’ordine:
“è uscito tutto?”
“è vivo?”
e, dulcis in fundo, “è maschio?”
Mi rispondono tre volte di si.
Sono le 7.15 del 21/11/12: con dieci giorni d’anticipo, dopo nove mesi di ansie, paure e buchi in pancia, è arrivato Gabriele, un toporagno di 2850 kg x 48 cm. Maschio ma carino!
Seguono le operazioni di rito per mamma e bimbo e poi, finalmente, la stanza si svuota.
Sulla porta l’ostetrica stronz@ si gira e mi fa: “signora avevo ragione a dirle che non c’era bisogno dell’anestesista, vero?”.
La guardo e rispondo: “e io avevo ragione a dirle che ero in travaglio, vero?”.
Mi trattengo a stento dal chiederle se ha finito la sciarpa, giusto perché la maternità addolcisce, vero?
Aspetto le 8 e faccio la telefonata tanto attesa: “Amore è nato il fratellino, più tardi puoi venire a conoscerlo!”.
Restiamo soli in sala parto, guardo quell’esserino sconosciuto e ho timore persino a prenderlo in braccio: mi sembra minuscolo (specie paragonato ad Arianna, che alla nascita pesava quasi 1 kg in più) e, lo so che è brutto da dire, ancora non lo sento “mio”.
Dopo un paio d’ore arriva un’infermiera a dirci che potevamo andare in camera e che sarebbe tornata subito con una sedia a rotelle.
Ringrazio, rifiuto l’offerta e vado avanti: sto bene e in camera ci vado con le mia gambe spingendo la culla, così come avrei voluto fare – e non mi è stato concesso – la prima volta.
La signorina mi vede decisa e non insiste: mi alzo, acchiappo la culletta e comincio a camminare, mio marito mi segue ridacchiando.
Abbraccio con lo sguardo la sala che sto lasciando e i corridoi dell’area nascita: quasi sicuramente è la mia ultima volta qui dentro.
Un attimo e siamo fuori: giusto il tempo di salutare al volo i nonni, che aspettavano davanti alla porta, e sistemarmi in camera e fanno uscire anche mio marito: c’è il giro visite e con me non può stare nessuno.
E così rimaniamo soli, io e quel toporagnetto nella culla: eccolo qui Gabriele, il mio secondogenito, il figlio maschio che assolutamente non volevo…
Prendo la digitale e gli scatto una foto e mentre la riguardo lo “riconosco”: è uguale ad Arianna (ma come ho fatto a non accorgermene prima???), è bellissimo e, soprattutto, è mio.
Mio con la consapevolezza di chi, arrivato sulla cima della montagna, si volta indietro a guardare tutto il cammino percorso.
Mio con la forza di chi tante volte è caduto e altrettante si è rimesso in piedi.
Mio con lo stupore di chi era assolutamente convinto di non farcela.
Mio…finchè moglie non ci separi (e poveretta quella che ci proverà

Finalmente arriva l’orario delle visite, lascio il pupo col papà e vado in corridoio ad aspettare Arianna: ed eccola la mia bambina, non la vedo da neanche 24 h e già mi sembra cresciuta.
Ci abbracciamo strette strette e poi corriamo in camera a conoscere il fratellino.
Si avvicina alla culla, lo guarda e sorride: “è lui, mamma, è Gabriele”.
“Si amore, è lui”.
Ce l’abbiamo fatta
